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 2018  giugno 22 Venerdì calendario

Il mito svanito di Capalbio e dell’Ultima Spiaggia

Per alimentare il mito delle dune capalbiesi, i quattro cavalieri che trent’anni fa hanno dato vita all’Ultima Spiaggia portano quattro soprannomi che potrebbero brillare («il Freddo», «il Libanese») in una serie tv di successo: Riccardo Manfredi, detto «il Cedrone», Adalberto Sabbatini «il Lungo», Valerio Burroni «lo Straniero» (perché è nato molto lontano, a Grosseto nientemeno) e Marcello Cima detto «Pelo». Perché è facile dire semplicemente: uno stabilimento balneare. Ma se poi quello stabilimento diventa tormentone del discorso collettivo, simbolo politico e culturale, luogo ambìto e di tendenza, allora su quella sabbia e davanti a quel mare non c’è solo paletta e secchiello, si crea una leggenda (anche un po’ stucchevole), come se tra quelli ombrelloni si decidessero i destini della politica. E la sinistra riflessiva e chic trovasse la sua dimora estiva. Che si dice all’Ultima Spiaggia? E a Capalbio, che si fa a Capalbio? E chi c’era all’Ultima, quanti presidenti, quanti segretari di partito, quanti parlamentari, quanti manager, quanti scrittori e scrittrici, quanti registi, quanti principi e principesse dell’informazione? E quelli che stavano dentro, nonni e nipoti per diritto dinastico, quanto si sentivano arrivati. E quelli che stavano fuori, gli outsider, che rodimento se restavano fuori.
Oggi però, proprio quando l’Ultima Spiaggia compie i suoi primi trent’anni, quel mondo sembra finito e in ritirata, in piena dismissione simbolica, scocca l’ora della celebrazione. Un mettere in mostra la propria storia, proprio quando il 4 marzo il voto ha travolto l’establishment, compreso anzi soprattutto l’establishment balneare e di sinistra, assediato dai nuovi barbari che, come è stato raccontato nel film «Come un gatto in tangenziale» di Riccardo Milani, portano sugli scudi la folla sudaticcia della spiaggia lumpen-proletaria di Coccia di Morto contrapposta alle scomodità cool che sono il fiore all’occhiello del buen retiro capalbiese. E proprio quando quella leggenda sembra svanire, mentre quella sinistra snob tanto vituperata sembra boccheggiare (anche a Capalbio, estremo Sud della Maremma toscana, ha stravinto la Lega salviniana), proprio adesso esce, coordinato da ZigZag, un libro che celebra il mito dell’Ultima Spiaggia. «L’Ultima» si intitola questa pubblicazione che si avvale di una prefazione di Alberto Asor Rosa, colui che coniò per Capalbio la celeberrima definizione di «piccola Atene» dove il mero bagnarsi in spiaggia si accompagnava al filosofare nello splendido borgo, e che raccoglie testimonianze, disegni, ricordi, poesie, calembour, firmati dall’eletto popolo che in quel posto meraviglioso si è disteso e ha riflettuto. Una celebrazione quando Capalbio viene finalmente normalizzata, non più indicata come faro chic (non radical-chic: di radical ce n’è davvero poco su quei lettini e quelle sdraio). Trent’anni pieni, sull’onda. E adesso si prospetta un sereno futuro di altri trent’anni, normali, come in tutte le altre spiagge, senza i frizzi e i lazzi di chi si sente escluso e indulge a fantasie balnear-complottiste sulla casta capalbiese. E a proposito di onde. Si ricorda ancora, e viene menzionata nelle pagine di questo libro come titolo di vanto, la scomposta reazione di giubilo a Sabaudia, l’anti-Capalbio della Roma del Palazzo, quando un’improvvisa onda anomala debordò infradiciando gli increduli clienti dello stabilimento. La cronologia che apre il volumetto, poi, si fa portabandiera di questa leggenda: «1989, la copertina del Venerdì di Repubblica consacra Capalbio e l’Ultima Spiaggia, Achille Occhetto viene fotografato mentre bacia la moglie Aureliana». C’è scritto proprio così. E c’è scritto anche: «Tra gli ombrelloni si comincia a parlare della trasformazione del Pci in Pds». E poi: «2016, il presidente Giorgio Napolitano torna allo stabilimento da cliente». Un’epoca intera. Nelle pagine del libro, Furio Colombo, conclude i suoi versi così: «Troverete la spiaggia e il suo mondo, la trovate girando a sinistra». Margherita Buy canta il mito del viaggio per arrivare all’Ultima: «L’Aurelia infuocata, l’orizzonte che si squaglia come un quadro di Dalì».
Di Capalbio si è parlato sempre: anche quando si è sventuratamente agitata per l’arrivo di 50 migranti. Ora la storia ha cambiato verso. La «trovate a destra», per parafrasare Colombo. Ora tutti a prendere il sole, come in una spiaggia normale.