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 2018  giugno 21 Giovedì calendario

«Disarmo e intese con le tribù in Libia. Ecco a cosa sta pensando il Pentagono»

La strategia usata finora in Libia è completamente sbagliata, tanto quella per la stabilizzazione politica, quanto quelle per la lotta al terrorismo e per la gestione delle migrazioni. Bisognerebbe ricominciare con un modello che parta dal basso, cioè le città, le comunità locali e le tribù, per arrivare poi a costituire un governo federale. Gli Stati Uniti dovrebbero impegnarsi direttamente, non solo per lanciare i raid militari contro i terroristi, ma anche per mediare tra Italia e Francia e guidare il processo diplomatico, inserendo la Libia nell’agenda presidenziale. Infine sarebbe essenziale capire che «il vero problema è l’Africa». La questione delle migrazioni è un fenomeno epocale che non verrà risolto da palliativi tipo la chiusura dei porti, ma da un intervento di lungo termine dell’intera comunità internazionale, per favorire sicurezza e sviluppo necessari ad eliminare le ragioni di fondo della grande fuga dal continente. Il motivo per farlo sta nell’interesse nazionale degli stessi Paesi europei e degli Usa, perché «altrimenti verremo spazzati via».
È l’analisi che il segretario alla Difesa Mattis ha sentito dalla studiosa italiana Federica Saini Fasanotti, durante un briefing di un’ora e mezza avvenuto nei giorni scorsi al Pentagono. Una road map che forse lo ha un po’ depresso, ma non sorpreso, perché la condivide. Ora il problema è capire se riuscirà a portare questa emergenza sul tavolo del presidente Trump, convincendolo a cambiare linea e a inserirla nella sua agenda.
Le conferenze “inutili”
Saini Fasanotti spiega a La Stampa che è partita da un’analisi storica: «È sbagliato dire che la Libia è uno Stato fallito, perché non è mai stata uno Stato. Si tratta di un ibrido composto da etnie e tribù molto diverse, che non ha mai avuto una vera democrazia». Quindi è stato un errore imporre soluzioni dall’alto, come il governo Sarraj insediato dall’Onu, ma anche la componente guidata dal generale Haftar, che ha militarizzato le regioni orientali senza davvero controllarle: «Il suo esercito è un coacervo di milizie, alcune anche salafite». Illusorie, quindi, le conferenze organizzate a Parigi dal presidente Macron: «Non servono a nulla. Al termine della seconda Sarraj e Haftar non hanno neppure firmato l’accordo raggiunto, perché sanno che il vero potere appartiene alle milizie, che non lo condividono».Sbagliata è anche la strategia anti-terrorismo americana: «I salafiti non sono una novità, anche Gheddafi aveva combattuto a lungo contro la Fratellanza musulmana. Però non sono radicati in Libia, che è un Paese conservatore, ma non estremista. Il vero pericolo è l’attrazione che terroristi e milizie esercitano sui giovani, impoveriti e senza appartenenze forti, che rappresentano oltre metà della popolazione. Il raid contro un capo jihadista può servire nel breve periodo, ma non risolve il problema». Stesso discorso per le migrazioni: «La strategia seguita finora da Roma, collaborare con Sarraj ma parlare con tutti, è giusta ma insufficiente. E l’emergenza non si risolverà chiudendo i porti, perché è come l’acqua, che se tappi un buco esce da un altro».
Guidare Roma e Parigi
La soluzione che Saini Fasanotti ha proposto a Mattis è ripartire dalle città, per gestire le esigenze basilari degli abitanti, tipo distribuzione di acqua ed energia, e polizia locale. Le elezioni previste a dicembre sono illusorie, e rischiano di rilanciare la guerra civile. Quando ci saranno le condizioni, bisognerebbe invece puntare su un governo federale che gestisca le relazioni internazionali, la difesa e la redistribuzione dei proventi di petrolio e gas. È indispensabile disarmare le milizie, perché in un paese di 6 milioni di abitanti ci sono 20 milioni di armi, forse assorbendole tra esercito e polizia. Poi è necessario varare un piano per l’Africa, altrimenti le migrazioni non verranno mai risolte, trascineranno nel caos l’Europa, e comprometteranno gli interessi nazionali degli Usa che perderanno alleati fondamentali. Perciò Washington non può continuare ad occuparsi dei raid contro i terroristi, lasciando agli altri la stabilizzazione. Deve guidare il processo diplomatico mediando tra Italia e Francia, inserendo Libia e Africa nell’agenda presidenziale.