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 2018  giugno 14 Giovedì calendario

Addio a Filippo Beatrice, il pm di Calciopoli

La malattia, lunga e crudele, ne aveva alterato i tratti somatici ma non ne aveva intaccato la gentilezza e la bontà d’animo. Il procuratore aggiunto di Napoli Filippo Beatrice portava addosso i segni della sofferenza, ma fino a quando le condizioni di salute glielo hanno consentito ha lavorato, ha coordinato i pm dell’anticamorra partenopea, ha ricevuto in ufficio e sorrideva all’interlocutore. Quasi scusandosi se la memoria “non è più come quella di una volta”, conseguenza dell’avanzare del male che lo ha stroncato ad appena 59 anni dopo qualche giorno di ricovero all’ospedale Cardarelli. Lascia la moglie, Ida Frongillo, anche lei pm a Napoli, sezione pubblica amministrazione, e due figli. “È stato l’anima della Procura di Napoli negli ultimi trent’anni, a molti poco noto perché non amava procurarsi vetrine, una persona straordinaria dal punto di vista umano, e uno dei migliori magistrati italiani” ha detto il consigliere togato del Csm Antonello Ardituro commemorandolo durante i lavori del plenum.
Ed era vero, non c’è retorica nelle parole di Ardituro, pm che ha lavorato per anni a Napoli. Beatrice era un procuratore rigoroso ed intellettualmente onesto, che non si lasciava ispirare dalla luce dei riflettori e casomai fu il circo mediatico a inseguirlo nella primavera bollente del 2006, quando esplose lo scandalo di Calciopoli, l’inchiesta condotta in tandem con il pm Giuseppe Narducci che riscrisse la storia dello sport più amato. Beatrice però preferiva parlare nelle aule di Tribunale. E nella requisitoria di Calciopoli tirò così la sintesi: “Il campionato 2004/05 è da ritenersi completamente falsato”.
Di quegli anni ruggenti Narducci ricorda al Fatto Quotidiano una battuta che attribuisce al collega ed amico: “Capita una volta in un secolo, o forse neppure, che si avveri il sogno di ogni pm appassionato di calcio: quello di condurre un’indagine usando l’Almanacco Panini. Questa fortuna era capitata a lui”. In anticamorra Beatrice è ricordato anche e soprattutto per l’inchiesta sui “magliari”, che scoperchiò una rete di investimenti e di riciclaggio dietro la vendita di prodotti falsi gestita dai clan del centro della città. Lavorava già al coordinamento della Dda quando arrivò dalla Cassazione la sentenza di prescrizione che cancellò Calciopoli, una enorme mole di lavoro e i numerosi reati acclarati.
La accolse con una miscela di dispiacere e rassegnazione, senza commentarla. Ma si sapeva come la pensava. Bastava rileggere una intervista di dieci fa all’Espresso, quando alla domanda se il mondo del calcio era così marcio come appariva dalle carte, rispose: “Non è molto diverso dall’Italia, riflette una serie di meschinità del Paese”.