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 2018  giugno 14 Giovedì calendario

Un’Arena per Carmen

Bugiarda, infedele, seduttrice, libera, passionale, calcolatrice, orgogliosa, coraggiosa, magnetica, fragile, insolente. L’identikit di Carmen si è via via aggiornato, l’idea di un personaggio divenuto archetipo ha assecondato nel tempo le conquiste femminili nella società. «Io dico che è una donna che vuole essere se stessa», afferma Hugo de Ana. Il regista argentino il 22, sotto la direzione di Francesco Ivan Ciampa, porta per la prima volta a Verona la sua visione di Carmen. In questo spazio dove la regola è la dismisura si può «giocare» con l’idea e il gioco teatrale dell’«Arena nell’Arena». 
Ma il capolavoro di Bizet «è» la protagonista femminile (Anna Goryachova). È una vicenda «che ha poco in comune con l’ambiente, l’atmosfera e le emozioni della novella di Mérimée che ispirò i due librettisti». 
Ha trasposto l’azione di un secolo, dal 1830 alla Spagna repubblicana e prefranchista del 1930, prima della guerra civile. «Lì per la prima volta la donna è libera, in tutti i sensi, può votare, crea sindacati, si arruola nelle milizie che combatteranno il franchismo. Già dal 1920 in Spagna Carmen diventa archetipo della donna spagnola, intraprendente, che vuol essere se stessa prima di tutto». Quella donna si può leggere in tanti modi...«La cosa fondamentale è che, tranne il Don Chisciotte, gli altri miti spagnoli sono creati da letterati francesi, Beaumarchais per Figaro, Molière per Don Giovanni, Merimée per Carmen». Lei insomma diventa il prototipo di una donna spagnola irreale...«Sì, potrebbe rappresentare la donna andalusa, ma neanche quello, diventa il sogno dell’identità della rivoluzionaria: è la donna che mette paura agli uomini, tanta violenza di oggi si spiega con questa paura: non solo in Italia, nel 2017 i femminicidi in Spagna sono stati 270». 
Merimée? «Non c’entra più nulla, lui descrive Carmen in modo esteriore e neanche gioca con la sua bellezza, ne fa una donna oggetto, i denti bianchi, i capelli neri…Stereotipi. Tutto questo fa sì che lei diventi più forte della letteratura, nell’opera è meno terribile e aggressiva, cerca in qualsiasi maniera di andare incontro al suo destino, lei lo sa dall’inizio che quell’uomo la ucciderà, nel momento in cui getta il fiore a Don José (Brian Jagde)». Tutto questo sfondo sul piano visivo si traduce in una Siviglia di basso profilo sociale, Carmen è «una zingara operaia furba, intelligente, libera di scegliere e usa gli uomini per quello che vuole. È nata libera e liberà morirà. I personaggi sono miserabili. Non c’è un eroe o un ricco. Anche Escamillo (Alexander Vinogradov) è un torero di bassa stoffa che se la tira. È una Siviglia povera». 
L’Arena nell’Arena? «È il cerchio del rito e del mito. La vicenda inizia e si conclude nello stesso posto. Ci sono i burladero, i carretti che la gente mette per la corrida. Miseria, mura scrostate. C’è il potere militare che avanza, le jeep, le uniformi; e c’è il potere della libertà operaia. Il caos di un paese in fibrillazione. Il cerchio rimanda all’origine dell’uomo primitivo. L’Arena nell’Arena crea una distanza tra il dramma e ciò che si vede». La piazza, la taverna, l’accampamento dei contrabbandieri? «Mi aiuto con video, proiezioni. Però nessuna oleografia, non vedi ciò che la gente si aspetta, non siamo necessariamente a Siviglia. C’è il valore simbolico di un profumo, perché Don José scopre la sessualità attraverso l’odore.di Carmen. Non dimentichiamoci che, dopo Gesù Cristo e Napoleone, con 48 film è la vicenda più raccontata al cinema, due furono addirittura senza sonoro, in quello di Cecil DeMille c’era Geraldine Farrar, voce del Met, che recitava muta, quando l’opera di Bizet già trionfava».