Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  giugno 14 Giovedì calendario

Ritratto di Luca Parnasi

ANTONELLA BACCARO PER IL CORRIERE DELLA SERA –
Luca Parnasi, 41 anni, romano, fa parte a pieno titolo di quella razza «palazzinara» che continua a dominare la scena capitolina malgrado il drammatico e prolungato stallo dell’edilizia. Non per niente il rampollo — che nel 2008 ha dovuto liquidare Parsitalia, l’azienda che il padre Sandro, idraulico di fede comunista, aveva tirato su negli anni ’40 cedendo tutte le attività al maggiore creditore Unicredit— ha puntato tutto sul nuovo stadio della Roma. Non senza metterci il cuore. «Quando facemmo l’accordo per lo stadio — raccontava in un’intervista —, mio papà mi disse: “Mi prometti che questa operazione la fai perché è un buon investimento e non perché sei tifoso?”». Già, perché Parnasi è cresciuto a Collina Fleming, il quartiere a Nord dove viveva il giallorosso Roberto Pruzzo di cui conserva gli scatti fatti sotto casa, forse insieme con quello che rubò a Paulo Roberto Falcão in un ristorante. A 22 anni tenta l’avventura amatoriale fondando la squadra «Manchester United» e coinvolgendo il «principe» Giuseppe Giannini. E per non farsi mancare nulla del tycoon, a un certo punto s’immagina editore e cerca di resuscitare Paese Sera. Sui giornali però ci finisce per il centro commerciale Euroma 2 con le due mastodontiche torri e, sempre all’Eur, per il contestatissimo palazzo della Provincia. Con la politica ha un rapporto fluido, si segnala per aver finanziato, tramite le fondazioni, politici di destra e sinistra, alcuni dei quali incontrati sui campi di calcetto e golf che frequenta, come l’immancabile circolo Aniene. Le cronache rosa si occupano di lui nel 2010 quando sposa l’attrice Christiane Filangieri da cui due anni dopo ha un figlio. Appassionato di rock, avrebbe voluto inaugurare lo stadio con un concerto dei Metallica.

***

MARCO PALOMBI PER IL FATTO QUOTIDIANO –
Alla fine il problema di Luca Parnasi lo racconta in una intercettazione suo cugino Giulio Mangosi, uno dei suoi collaboratori: “È rimasto troppo Anni Ottanta”. In pratica, è il parere di quello che il premier Conte direbbe “congiunto”, vuol lavorare mettendosi nella manica i politici: “Io spenderò qualche soldo sulle elezioni – spiegava lui stesso prima delle Politiche – Poi con Gianluca vedremo come vanno girati ufficialmente, coi partiti politici eccetera. È importante perché in questo momento noi ci giochiamo una fetta di credibilità per il futuro ed è un investimento che io devo fare… Molto moderato rispetto a quanto facevo in passato, quando ho speso cifre che manco te lo racconto”.
E così un assegno qui, un assegno lì, il rampollo classe 1977 dello stagnaro comunista Sandro Parnasi, creatore di un impero oggi in mano ai creditori, è arrivato pure a dare 250 mila euro alla Lega: “Fa pure figo in questo momento che qualcuno dica da sinistra che Parnasi è vicino alla Lega, perché è il mondo ormai che conta”, spiega Luca all’eterno Luigi Bisignani, giovane piduista e poi nel cuore andreottiano del berlusconismo (leggi Gianni Letta). Cioè, “ti pensano vicino a Bonifazi (tesoriere del Pd, ndr) e col cazzo invece: io sono comunque uno che apre”.
È uno che apre il giovane Parnasi – da ieri in carcere nell’ambito dell’inchiesta sullo stadio della Roma – ma, per la verità, chiude pure: è successo alla holding Parsitalia messa su da papà Sandro, uno dei principi rossi dei palazzinari romani (l’altro è Alfio “calce e martello” Marchini). Il rampollo non ama quell’antico termine che rimanda al Gadda der palazzo de li pescicani, ma neanche il più moderno immobiliarista: “Sviluppatore”, è la parola che preferisce. Prende il terreno, ottiene i permessi, mette assieme i soci, lottizza e rivende: sviluppa insomma. Il centro commerciale Euroma 2, l’Ecovillage di Marino con Idea Fimit del gruppo De Agostini, gli appartamenti nell’ex rimessa Atac del Tiburtino, il polo commerciale in zona Pescaccio.
Il gioco sembrava andargli bene, ma poi arriva la più grave crisi del dopoguerra e il settore immobiliare è quello che l’ha pagata di più: il gioco dello sviluppatore, specie se servono i soldi pubblici, si ferma e Parsitalia si ritrova con un pacco di debiti (Unicredit e Bnl su tutti) e un’unica speranza, lo Stadio della Roma.
La sua fortuna è che con la politica, magari in modo un po’ troppo Anni Ottanta, i rapporti continuano a funzionare. Nel dicembre 2012, per dire, quando già la situazione s’è fatta spiacevole, piazza il colpaccio: Nicola Zingaretti, allora presidente della quasi sciolta Provincia di Roma, decide di acquistare uno dei grattacieli dell’Eur per portarci dipendenti e consiglio. Il prezzo – 263 milioni di euro – fu giudicato eccessivo dagli esperti, ma la Corte dei Conti alla fine ha “assolto” Zingaretti.
Come che sia, quella vendita regala un po’ d’aria a Parsitalia, che si copre dal lato Bnl. La situazione, però, non migliora: i debiti aumentano, il fatturato no.
Unicredit (e in misura minore Mps e altri) si ritrovano circa 700 milioni di “sofferenze” targate Parnasi e alla fine cedono: dopo l’estate 2016 Parsitalia viene svuotata e i suoi progetti più promettenti finiscono in un veicolo chiamato Unicredit Capital Dev, che ora dovrà finire quel che c’è da finire e vendere quel che c’è da vendere per coprire i buchi. In cambio il debito di Parsitalia scende a 130 milioni e lo sviluppatore ha ancora in mano la gallina dalle uova d’oro: lo Stadio della Roma da costruire, in joint venture con una società del presidente giallorosso James Pallotta, sui suoi terreni di Tor di Valle attraverso la controllata Eurnova (la scelta della zona risale ai tempi di Ignazio Marino).
Anche il grazioso aiuto di Unicredit però non basta: “Tu lo sai – gli dice intercettato il suo collaboratore Gianluca Talone – stanno finendo i soldi dappertutto”. E così nell’estate 2017, dopo 60 anni di attività, la holding Parsitalia creata dallo stagnaro Sandro (morto un anno prima) va in liquidazione. Al buon Luca rimane comunque in mano Eurnova e il miraggio Stadio della Roma, anche se nel frattempo ha dovuto chiedere alla più solida Pizzarotti Costruzioni di unirsi alla partita.
E siamo all’oggi, alle mille accortezze così anni 80 con cui Parnasi tentava di garantirsi l’affare Stadio e, per quella via, di rimettere le mani sulle sue attività in mano a Capital Dev: è il suo vero obiettivo, la sua ossessione, ne parla col nuovo sceriffo grillino in città, Luca Lanzalone. Per tornare sviluppatore aveva già deciso, scrive il Gip, di vendere pure il terreno di Tor di Valle per 200 milioni a Capital Dea del gruppo De Agostini (“ma solo se ci riprendiamo l’Ecovillage”). Pure stavolta, pare, la volta buona sarà la prossima: ieri l’hanno arrestato a Milano.

***

PASQUALE NAPOLETANO PER IL GIORNALE –Guai a definirlo «palazzinaro». E anche l’etichetta di «immobiliarista» gli va stretta. Luca Parnasi, l’imprenditore finito agli arresti nell’ambito di un’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo sulla costruzione del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle, ama definirsi uno «sviluppatore» di idee.

Ma è soprattutto un figlio d’arte: nel 2010 il padre Sandro, un imprenditore molto vicino al Partito comunista, che a partire dagli anni Quaranta cominciò a mettere in piedi palazzi grazie al boom che porta Roma all’espansione edilizia, gli consegna l’impero di famiglia sorto sulla capitale e dintorni: il grattacielo Bnl sulla stazione Tiburtina, le torri di Euroma2 all’Eur, gli alloggi a Marino, il terzo polo commerciale a Pescaccio, decine e decine di migliaia di metri quadrati di case e negozi e terreni su cui far sorgere un centro commerciale al Laurentino.Un impero però sull’orlo del fallimento: la crisi del mattone ha messo in ginocchio l’azienda madre, Parsitalia, il cuore del business edilizio. La società accumula debiti, fino al 2015 quando l’esposizione raggiunge i 283 milioni di euro, costringendo il gruppo a cedere tutte le più importanti partecipazioni immobiliari al veicolo Capital Dev controllato da Unicredit. La banca vanta la quota maggiore di crediti nei confronti delle aziende di Parnasi, per centinaia di milioni di euro.La costruzione dello stadio diventa l’occasione della vita, per salvare nome e patrimonio di famiglia. Da tifoso giallorosso, una passione trasmessa da un nonno adottivo, Teseo, pescatore di Fiumicino, Luca, fiuta l’affare. Puntando dritto sulla realizzazione del tempio del calcio di fede giallorossa, per riaccreditarsi nelle stanze dell’imprenditoria capitolina. Operazione che Parnasi jr mette in pratica costruendo una solida rete di rapporti politici trasversali e acquistando i terreni su cui il futuro stadio della Roma dovrebbe sorgere. Diventa uno dei maggiori finanziatori della campagna elettorale alle comunali di Roma nel 2013: i romani portano in Campidoglio il sindaco Ignazio Marino. L’inchiesta Mafia capitale travolge l’amministrazione Marino ma non i piani di Parnaso che cambia, velocemente, interlocutore: nel 2016 alla guida del Comune di Roma arriva la grillina Virginia Raggi. E il rampollo di casa Parnasi non rinuncia al progetto, provando a infilarsi nel mondo pentastellato a suon di favori e promesse. Nel frattempo, le mire imprenditoriali si spostano in Lombardia e Sicilia. Senza mai perdere d’occhio gli affari capitolini dove stringe un patto di «non belligeranza» con Sergio Scarpellini, l’altro volto della speculazione edilizia romana. Tifoso, spregiudicato negli affari e amante della vita mondana: nel 2010 sposa l’attrice Christiane Filangieri, una discendente del giurista Gaetano Filangieri. Dall’unione nasce Alessandro: una favola perfetta. Tra soldi, potere e dolce vita. Ma per la Procura «Luca è oggi il dominus dell’organizzazione che stava provando a mettere le mani sulla costruzione del nuovo stadio di Roma». Un’accusa che rischia di distruggere l’immagine dell’imprenditore dal volto da bravo ragazzo.