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 2018  giugno 14 Giovedì calendario

Mondiale, occasione per Putin

Quanto sembra lontano il 2010, quando la Russia di Vladimir Vladimirovich Putin vinse la chance di organizzare il Mondiale di calcio 2018. Il presidente Obama voleva buoni rapporti con Mosca, il premier inglese Cameron non accusava la Federazione russa di mazzette illecite per strappare il Mondiale a Londra, la guerra in Ucraina e l’occupazione della Crimea non isolavano il Paese con severe sanzioni economiche. Né a Salisbury era stato avvelenato da sostanze chimiche di uso militare l’ex agente Sergei Skripal, con la figlia, o il volo di linea MH17 abbattuto nella battaglia di Shakhtarsk, incrociando milizie pro-russe. Putin non aveva spalleggiato il dittatore siriano Assad, né gli oligarchi suoi amici erano stati messi sotto inchiesta in America, per ingerenze illecite nella campagna elettorale 2016.
Il match «Gasico»
Per questo Putin, il leader più astuto del primo XXI secolo, vede nella Coppa l’occasione per riverniciare l’immagine sbiadita del paese. Tifoso di hockey e judo, tiepido fan dello Zenit, oggi siederà in tribuna per la partita di apertura contro l’Arabia Saudita (la peggiore di sempre secondo la classifica Fifa, dopo Sud Africa-Messico 2010) con il carismatico principe saudita Mohammad Bin Salman Al Saud, che ha persuaso a fermare la caduta del prezzo del greggio, mentre gli spiritosi moscoviti parlano dunque di match «Gasico», non «Clasico». Con un Pil inferiore a quello italiano, a rischio sorpasso economico 2019 dal favorito, nel calcio, Brasile, la Russia è gigante geopolitico, anemico nello sviluppo. Ma Putin sa, con genialità, fomentare lo spirito revanscista slavo, accusando l’Occidente – o quel che ne resta – di discriminare i russi, sentimento antico, caro a maestri tormentati come Dostoevskij e Solzenicyn. Accogliendo un milione e mezzo di turisti e miliardi di telespettatori, il presidente russo vuol dimostrare, fra sponsor golosi, che le sanzioni non lo intimidiscono. E, con precisione, ha spartito i 683 miliardi ufficiali di investimenti per la Coppa (8,3 miliardi di euro, ma la cifra reale è assai maggiore) tra oligarchi amici, come Vitaly Mutko, costretto alle dimissioni dal Comitato organizzatore ma ancora saldo al governo. In ognuna delle undici città ospiti del Mondiale sono i sodali del presidente a costruire stadi e infrastrutture senza mai appalti trasparenti, Timchenko a Nizhny Novgorod, Rotenberg a Mosca, Deripaska e Vekselberg, magnati in lista nera dei magistrati Usa, in altri cinque centri.
L’appello del dissidente
La Casa Reale britannica non manderà nessun membro a tifare per l’Inghilterra, il ministro Johnson sbraita di «boicottaggio» per il caso Skripal, Putin sorride enigmatico e si dice lieto che la Coppa 2026 sia andata a Usa-Canada-Messico, non in Marocco. Si sussurrava che la Russia non volesse premiare gli Usa, ma il presidente russo ha teso invece la mano a Trump che lo richiama nel G8. Online, vignette satiriche dipingono la mascotte Zabivaka il lupo in manette o soffocato dal gas letale Novichok. La famiglia del regista dissidente ucraino Oleg Sentsov, in cella e grave per lo sciopero della fame, supplica di liberarlo, come gesto umanitario durante la Coppa. Ma ieri sera, nella maestà della Piazza Rossa, con la Russia presidiata da gran parte dei 900.000 poliziotti e truppe speciali contro i temuti attentati Isis, al canto di Placido Domingo, prima dei fuochi d’artificio sul mausoleo di Lenin, Vladimir Putin poteva esultare, malgrado la mediocre nazionale russa: nessuna sua mossa contro l’ordine mondiale lo ha, finora, isolato. Chiunque alzi la Coppa, vuol esser lui il vincitore.