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 2018  giugno 13 Mercoledì calendario

«L’Italia faccia chiarezza su euro, debito e riforme»

«Negli Stati Uniti un’impresa su tre è aperta da uno straniero. Da voi sono una su venti. Quello migratorio è certamente un tema rilevante…». Henry Kravis, classe 1944 da Tusla, Oklahoma, passeggia per le strade del centro di Roma come un qualunque turista. Legge distrattamente le notizie che arrivano dalle coste del Mediterraneo. Il padre, un ingegnere petrolifero di origini ebraiche, lo ha educato alla filantropia. Se lo può permettere: nell’ultima classifica di Forbes Kravis è il 324esimo uomo più ricco del mondo. La Kohlberg Kravis Roberts – nota ai più come Kkr – è un fondo di investimento da venti miliardi di dollari. A fine anni ottanta curò la cessione di Nabisco, allora la più grande della storia di Borsa. Nel 2015 ha firmato un accordo con Intesa e Unicredit per la gestione di parte dei loro crediti deteriorati. Di fede repubblicana, grande amico dei Bush, ora – nonostante la politica dei dazi - sostiene Donald Trump.

Kravis, cosa pensa del dibattito in Italia attorno alla permanenza nell’euro? Pensa che il nuovo governo finora non sia stato abbastanza chiaro?
«Nel mondo degli affari non c’è cosa peggiore dell’incertezza. Più vi è incertezza, più è probabile che gli investitori si paralizzino in attesa di capire cosa accadrà. Il Paese non può attendere: ha bisogno di risposte rapide. Una volta che la decisione è presa, va comunicata con chiarezza. Come dimostra la vicenda della Brexit, sono scelte che richiedono molto tempo e molti sacrifici. Se la decisione è quella di restare, bisogna sgombrare l’incertezza dal campo perché essa stessa frena la crescita».
Il ministro del Tesoro è stato chiaro, Luigi Di Maio anche, Matteo Salvini resta ambiguo. Paolo Savona dice di voler separare le opinioni dalla pratica di governo. Eppure la sensazione è che nessuno creda veramente al ritorno alla lira come una soluzione. Semmai la minaccia somiglia ad un modo per ottenere più margini di flessibilità dall’Europa. Pensa che l’Italia possa e debba pretenderne di più? O avere il terzo debito del mondo ci rende poco credibili?
«Sulla capacità di sostenere il suo debito l’Italia deve essere ritenuta affidabile. Ciò detto, le istituzioni europee e in particolare la Banca centrale europea hanno il dovere di aiutare i Paesi che ne hanno bisogno: su questo l’Italia non può fare eccezione. Se il Paese con il terzo debito del mondo cresce poco, è un problema per tutti i partner europei». 
Che intende per “aiutare”?
«Occorre che l’Italia abbia più flessibilità. Nel momento in cui siete entrati nell’euro tutti avete preso l’impegno a rispettare certi vincoli, ma non li avete rispettati né voi, né altri. Per quanto tempo è successo? Il dovere ovviamente è reciproco: l’Italia deve rimboccarsi le maniche e fare le riforme utili alla crescita del Paese. Non può aspettarsi che siano Francia e Germania a risolvere il problema».
Da dove partire?
«Attirare capitali stranieri, incoraggiarli a entrare in Italia e ad investire. In Italia non esiste un mercato dei capitali! Avete solo banche: ne avete due, molto grandi, ma non basta. Il sistema bancario deve essere in grado di finanziare l’economia, liberarsi rapidamente dei crediti deteriorati. Noi lavoriamo con Intesa e Unicredit, ma bisogna spingere anche gli altri soggetti. Una volta fatto questo, occorre portare nel sistema nuovo patrimonio. Perché senza capitali le banche non possono fare buon credito: è cruciale per la crescita di un grande Paese». 
Su questo punto il governo non sembra avere le idee chiarissime: basti vedere quel che accade attorno alla riforma delle banche di credito cooperativo. Hanno bisogno urgente di aggregarsi e rafforzare i patrimoni, eppure il governo vuole bloccare il processo. Perché accade?
«C’è bisogno di riconoscere che un’impresa può fallire. Accettare il principio della distruzione creativa. In Italia ci sono troppe piccole imprese che arrancano. E ciò vale anche per lo Stato. Io sono un sostenitore del libero mercato, per cui penso che lo Stato non dovrebbe possedere nulla che non possa essere gestito adeguatamente dai privati. Ma se lo Stato ci deve essere, chiuda le aziende che non stanno sulle loro gambe».