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 2018  giugno 13 Mercoledì calendario

Il muro verde, miracolo nel deserto

L’Africa sta facendo dono al mondo di un’autentica meraviglia: un “fiume” di verde piantato nel deserto. Alberi e alberi che placano l’aridità del suolo, che servono a nutrire e a combattere la desertificazione. Il fenomeno della “terra inutile” non è un evento ineluttabile, come un terremoto, e non ha molto a che fare con il deserto che avanza inghiottendo aree fertili. La desertificazione è il fenomeno che si verifica quando gli uomini utilizzano le terre in maniera inappropriata. Se sono troppo sfruttate il rendimento poi crolla. Anche quando sono esposte a condizioni meteorologiche e climatiche estreme come la siccità, si deteriorano rapidamente trasformandosi in zone aride, apparentemente morte. Per troppo tempo il valore della terra è stato sottovalutato: per questo le Nazioni Unite hanno proclamato il 17 giugno Giornata Mondiale per la Lotta alla Desertificazione, che quest’anno ha come titolo La terra ha un valore concreto – investici.
«Per dire basta a tutto questo nel 2015 i paesi membri della Nazioni Unite si sono accordati per includere tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile quello di evitare, di ridurre e d’invertire il deterioramento delle terre, dovunque si produca, in particolare nelle aree definite come terre con bassa disponibilità idrica, le drylands o terre aride. Oggi nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla Desertificazione, nata dal Vertice della Terra di Rio de Janeiro del 1992, che ha preso il ruolo di guida di queste azioni, 116 governi si sono impegnati a centrare l’obiettivo entro il 2030», spiega Anna Luise, esperto dell’Ispra e Corrispondente tecnico-scientifico dell’Italia per la Convenzione della Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione.
Le terre “aride” coprono il 40 per cento del pianeta e si spandono in più di 100 Paesi. Ospitano 2,3 miliardi di persone, di cui la maggior parte affronta minacce costanti, dalla penuria di cibo o acqua a fenomeni meteorologici estremi come temperatura elevata, inondazioni improvvise, gravi siccità, piogge impreviste. Nelle regioni dove l’acqua è già rara o la qualità del suolo è in declino, le siccità e i cambiamenti climatici rendono le condizioni di vita ancora più difficili. In queste zone non resta che assicurare la sopravvivenza recuperando la produttività delle terre. È quello che è stato fatto nella fascia di territorio più a sud del deserto del Sahara. «L’iniziativa della Grande Muraglia Verde è iniziata nel Sahel – continua Luise – dove le popolazioni vivono direttamente della loro terra. Un progetto faraonico guidato dall’Unione Africana che va oltre il sogno ancestrale di difendere la produttività delle terre proteggendolo con barriere di alberi che negli ultimi vent’anni ha coalizzato da una parte un grande numero di paesi africani particolarmente minacciati dalla desertificazione e dall’altra ha visto il coordinamento efficace degli sforzi finanziari di istituzioni internazionali come la Banca Mondiale, la Fao e l’Unione Europea con il forte sostegno della Unccd. Per lottare contro gli effetti indotti dai cambiamenti climatici, questo ambizioso progetto mira a creare un vasto sistema ( o mosaico) di verdi paesaggi produttivi tra il Nord Africa, il Sahel e il Corno d’Africa. Piantando alberi e riportando la terra a nuova vita».
Oltre che piantando alberi, come si recupera la terra ormai improduttiva? Una delle soluzioni più efficaci è il ripristino del contenuto di carbonio nel suolo. Il carbonio è l’elemento alla base dell’anidride carbonica, ma è anche alla base della sostanza organica presente nel suolo sotto forma di carbonio organico. Qualunque pratica agricola in grado di aumentare il carbonio organico nel suolo, anche in minime quantità, porta a miglioramenti della fertilità e combatte la desertificazione. Allo stesso tempo consente di ridurre il carbonio presente in atmosfera. Si stima che in tutti i suoli del mondo siano immagazzinate circa 1417 miliardi di tonnellate di carbonio organico, e cioè circa il doppio del carbonio presente in atmosfera e responsabile, sotto forma di anidride carbonica, dell’effetto serra il cui aumento è alla base dei cambiamenti climatici. I paesi che si stanno impegnando in queste iniziative, in Africa come nell’altopiano di Loess in Cina e in tante altre parti del mondo in Asia come in America Latina, dovranno fornire rapporti quadriennali alla Unccd, inclusa l’Italia che ha avviato gli studi e le valutazioni necessarie. I primi rapporti, resi pubblici, sono attesi nel 2022 e valuteranno i risultati positivi rispetto all’anno di riferimento 2015 in vista del 2030 quando cioè sono stati fissati gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Altri paesi promuovono questo approccio nelle loro politiche nazionali: il Cile, la Colombia e il Perù in America Latina, e il Burkina Faso, Madagascar e il Malawi in Africa. In Asia lo Sri Lanka, la Thailandia e la Cambogia. «La maggior parte di queste tecniche sono meno care delle pratiche in vigore ma la volontà di cambiamento resta un ostacolo», sottolinea Grammenos Mastrojeni, diplomatico, coordinatore per l’ambiente della Cooperazione allo Sviluppo e focal point nazionale della Unccd, «recuperare con una cifra modesta un ettaro di terra nel Sahel significa assorbire carbonio con la vegetazione che ricresce ma anche rilanciare la biodiversità e l’equilibrio idrico, far diminuire localmente il caldo. Così si rilancia l’agricoltura e con essa i mercati, ovvero la speranza per il futuro. E se c’è speranza, non si è costretti a migrare o a entrare nell’illegalità o nel fanatismo: ci guadagnano tutti, a 360 gradi».