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 2018  giugno 13 Mercoledì calendario

Le cinque vittorie del dittatore Kim

Il primo round del nuovo match fra Usa e Corea del Nord, trasferito dagli insulti e dalle minacce di guerra al tavolo negoziale di Singapore, è stato vinto ai punti da Kim Jong- un. Il giovane leader di Pyongyang, a ragione definito «talentuoso» da Donald Trump, ha infatti messo a segno i seguenti colpi.Primo. Kim Jong-un ha ottenuto quello che suo nonno e suo padre avevano cercato per oltre mezzo secolo, ovvero un vertice da pari a pari con il presidente degli Stati Uniti in carica. Successo d’immagine, ma anche di sostanza. È la rilegittimazione della Corea del Nord come attore della scena geopolitica internazionale. Fine dello status di paria. Con immediati vantaggi concreti, visto che la Cina è già pronta ad allentare le sanzioni contro il regime dei Kim, mentre Trump si è riservato di rivederle sulla base dei progressi negoziali, se ci saranno.
Secondo. La disponibilità alla «completa denuclearizzazione della Penisola Coreana», sancita nel comunicato finale, era stata già promessa da Pyongyang nel 2007 e nel 2010. Nel frattempo, l’arsenale atomico e missilistico nordcoreano si è arricchito al punto tale da costringere gli Stati Uniti all’umiliazione di trattare con un paese reietto, totalitario, incomparabilmente più debole sotto ogni profilo.
A conferma che la potenza tecnica senza strategia e con scarsa abilità tattica vale poco. Il testo del comunicato è talmente vago da non andare oltre un impegno di principio che fra l’altro non riguarda solo la Corea del Nord, ma anche quella del Sud, alleata – almeno formalmente – degli Usa, da cui Washington ha da tempo ritirato – almeno ufficialmente – ogni arma nucleare. E poi, che cosa resterebbe dell’ombrello atomico Usa a nominale protezione del suo indocile “alleato” sudcoreano? Infine, la sicurezza di Pyongyang non dipende tanto dalla bomba quanto dalle decine di migliaia di cannoni puntati su Seul, che possono annichilire la capitale sudcoreana in poche ore. Se quei calibri non esistessero, la Corea del Nord non potrebbe ricattare la Corea del Sud e quindi gli Stati Uniti come ha fatto finora.
Terzo. Forse per un lapsus, o forse no, Trump ha adombrato il ritiro dei suoi quasi 30 mila soldati dalla Corea del Sud. Se mai realizzato, questo significherebbe che nella vasta porzione continentale dell’Estremo Oriente non vi sarebbero più contingenti né basi militari a stelle e strisce. Con le conseguenze che si possono immaginare per la sicurezza dei sudcoreani e degli alleati nell’area, a cominciare dal Giappone. Quei soldati sono in realtà schierati contro la Cina. Ove sparissero, Pechino avrebbe messo a segno un colpo spettacolare senza muovere un dito. Probabile che sull’Air Force Onequalcuno avrà fatto osservare a Trump che sarebbe una catastrofe per la credibilità degli Stati Uniti. E il Pentagono farà fuoco di sbarramento pur diimpedire tale ritirata. Quarto: sempre in cambio di nulla che non siano parole, Trump ha annunciato la sospensione delle “provocatorie” ( sic) manovre militari Usa- Corea del Sud. Senza dir nulla a Seul, che infatti ne è rimasta scioccata.
Quinto: il comunicato finale accenna alla «costruzione di un regime di pace duraturo e robusto sulla penisola coreana». Ovvero la firma del trattato di pace che metterebbe fine alla guerra sospesa nel 1953. Ciò che potrebbe aprire alla riunificazione fra le due Coree o almeno all’apertura della ferrovia pancoreana verso Cina e Russia, fondamentale nella strategia delle nuove vie della seta, cavallo di battaglia di Xi Jinping.
Quanto al cartellino di Trump, l’unico ma importante punto a suo favore non riguarda tanto Kim quanto Xi Jinping. Gli americani sanno che i nordcoreani temono i cinesi più di loro e quindi stanno provandole tutte pur di sottrarli all’orbita di Pechino. Il fatto che il formato negoziale sia per ora a due e non a tre, Cina compresa, è rilevante. Soprattutto considerando che il vero avversario di Washington non è Pyongyang, ma Pechino. Siamo solo alla ripresa iniziale di un negoziato che potrebbe durare molti anni o saltare da un giorno all’altro. È impossibile immaginarne gli sviluppi anche perché, come ha osservato la Russia, «il diavolo sta nei dettagli». Non sappiamo che cosa si siano detti davvero Trump e Kim, né se esistono testi segreti che specificano meglio il senso di un comunicato così generico. Sappiamo però – e con noi lo sanno nemici e alleati più o meno sinceri degli Usa – che Kim ha costretto Trump a un negoziato cui una superpotenza, in teoria, non dovrebbe piegarsi. Specialmente dopo aver ripetuto fino alla noia che questo sarebbe potuto avvenire solo dopo la rinuncia di Pyongyang alla bomba. Un’assurdità logica e strategica smascherata da Kim Jong- un, con il sottile aiuto dei “fratelli” sudcoreani, non poi così nemici come molti americani immaginavano fossero. Forse un giorno scopriremo che le Coree non sono due Stati, ma due regimi in una nazione sola.