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 2018  giugno 13 Mercoledì calendario

“Sono cresciuto con Guccini, imparando a usare la testa”. Intervista a Irama

Se c’è un manifesto per chi vuole comprendere un lembo dei ventenni, entrare nelle loro liturgie, abitudini, stili, tormenti, desiderio di marcare una stagionalità, quel manifesto può arrivare anche dalle canzoni di Irama, anagramma di Filippo Maria Fanti. Ventidue anni, cantautore (e qui è la rarità), lunedì sera ha conquistato la diciottesima edizione di Amici davanti a oltre quattro milioni di spettatori (per Canale5 è il miglior risultato della primavera), con gli altri canali assettati in modalità-Sanremo, quando una regolare contro-programmazione diventa un’eresia vicina alla bestemmia economica. Irama nei suoi pezzi narra di solitudine, studi, droghe, speranze mancate, arriva anche agli attacchi di panico, “senza filtri, senza timore di sentirmi nudo: è come avere un diario musicato sulla mia vita e le emozioni”.
Senza filtri…
Né segreti. Quando scrivo mi spoglio l’anima e, contro ogni timore, la condivido con chi mi ascolta, e non è sempre semplice, però la musica mi ha aiutato ad aprirmi, per me che sono chiuso. È un percorso. Il bello è stato scoprire la condivisione con chi mi ascolta e canta, e a volte poi mi scrive le sue di emozioni.
Alcuni brani sono molto articolati, sembrano ispirati alla tradizione del cantautorato anni Settanta.
Per forza, sono cresciuto con i miei che in macchina cantavano Guccini e De André. Un continuo. Credo di conoscere a memoria gran parte dei loro brani, in particolare quelli di Guccini. E li ringrazio. Con loro ho capito cosa vuol dire pensare la musica in storie.
Quale di Guccini?
Ciranò, Autogrill e L’Avvelenata sono le mie preferite, mi è pure capitato di rivedermi in quello che cantano, anche se le generazioni sono decisamente distanti. A Guccini ho pure chiesto l’autografo e dopo ore di fila.
Addirittura.
Poco prima di andare a Sanremo ho saputo della sua presenza in un posto per firmare copie, così mi sono piazzato in fila e ho atteso ore, nonostante l’organizzazione volesse farmi saltare l’incolonnamento umano.
Niente furbate.
Non sarebbe stato né da Guccini né da suo fan. Ho atteso, e poi la stretta di mano.
I suoi testi sono figli dell’epoca social?
Attenzione con i social, vanno gestiti; ci sto molto attento.
Cosa vuol dire?
Sono realmente a doppio taglio e ce ne stiamo rendendo conto solo ora: da una parte, ed è indiscutibile, ti consentono di entrare in contatto con un numero incredibile di persone, dall’altra ti caricano di una forte responsabilità rispetto a chi ti segue e influenzi.
Questo lo ha imparato sulla sua pelle…
Va bene non avere filtri, ma con la testa. E poi ho la sensazione di far parte di una generazione parasputi, dove siamo molto meno razzisti e omofobi di come ci raccontano le altre generazioni. Siamo abituati e cresciuti con l’altro davanti a noi.
A 22 anni canta le crisi di panico…
Anche quelle sono vere, non esagero.
Risolte, come?
Con calma, impegno e parlandone; insomma, con la testa e non vuol dire che sia stato semplice; sono anche il frutto di una adolescenza un po’ travagliata. Per fortuna quando mi trovo su un palco sono felice.
Travagliata?
Diciamo che sono cresciuto troppo in fretta.
Non ha studiato all’università.
Altre scelte, e non intendo rivendicarle, però ho capito una cosa: l’importante è cercare cultura e stimoli ovunque, e poi sono stato fortunato nell’avere una famiglia che mi ha regalato le sue basi sociali e storiche.
Lei sorride poco.
Ma questo è il mio viso! Corruccio lo sguardo un po’ perché ho gli occhi chiari e mi dà fastidio la luce e un po’ è questa la mia faccia da schiaffi.
Chi è lei?
In realtà ancora nessuno. Diciamo un ragazzo emergente.