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 2018  giugno 11 Lunedì calendario

«Non giochiamo in Russia perché il calcio è per ricchi». Intervista a Claudio Gentile

“Ogni tanto ripenso alle vecchie nazionali, alla mia nazionale, e mi sento male”. Per Claudio Gentile la maglia azzurra è quasi una seconda pelle: campione del mondo nell’82 da giocatore, campione d’Europa nel 2004 con l’Under21 e bronzo olimpico ai Giochi di Atene da ct. “La mancata qualificazione ai mondiali è stato un grande dolore: con la nazionale ho vissuto i momenti più belli della mia vita”, racconta. Anche se poi la storia è finita male: accantonato senza troppa riconoscenza nell’era post-Calciopoli. Quello sgarbo non l’ha dimenticato, con la Figc è sempre stato molto critico: “Lì dentro ho visto tante cose che non vanno e a cui non ho voluto piegare la testa, infatti ormai sono fuori dal giro”.
Giovedì 14 giugno iniziano i Mondiali senza l’Italia…
Ancora non ci credo. È una sciagura: è come un gran premio di Formula1 senza la Ferrari, i tifosi lo seguono per vedere quelle 3-4 squadre. Poveri russi, immagino che pure loro siano molto delusi.
È il punto più basso della storia del nostro calcio?
Senza dubbio. E credo ci sia qualcosa in più del semplice risultato negativo. Il pallone ha sempre fatto parte della nostra cultura, è un elemento di identità popolare, è stato anche motivo di orgoglio e unità nazionale: oggi invece c’è un misto di vergogna e sfiducia a parlare di calcio.
Com’è potuto succedere?
C’è stato un fallimento di programmazione, dal 2006 in poi: dopo il Mondiale vinto siamo andati avanti per inerzia, convinti all’Italia tutto fosse dovuto. Le due eliminazioni al primo turno nel 2010 e 2014 avrebbero dovuto far suonare l’allarme. Il buon Europeo 2016 con Antonio Conte ct ci ha illuso, ma i segnali c’erano. Non li abbiamo visti. O forse qualcuno non li ha voluti vedere, perché era più comodo far finta di nulla.
Il processo sommario ha già condannato Ventura?
Figuriamoci: non era all’altezza, ma è stato vittima di qualcosa più grande di lui.
Carlo Tavecchio?
Capro espiatorio. Ha ereditato una situazione compromessa e ha pagato per tutti.
Di chi è la colpa, allora?
Troppi stranieri e pochi giovani, società malate che impoveriscono il livello della Serie A stagione dopo stagione, dirigenti attaccati alla poltrona. Il calcio italiano è diventato un business, in cui tutti pensano agli interessi e il valore passa in secondo piano. Chi non si piega a queste logiche, viene messo alla porta.
È per questo che lei non lavora più in Figc?
Anche: io le convocazioni le ho sempre fatte in base al merito, alle mie idee magari sbagliate, e non per ordini di scuderia. E questo non è mai piaciuto. Ma non sono l’unico, pensate a Roberto Baggio: lui sarebbe un maestro di calcio straordinario, solo averlo in Federazione avvicinerebbe decine di migliaia di ragazzi a questo sport. Invece l’hanno fatto scappare a gambe levate.
Il fallimento azzurro è causa o conseguenza della crisi?
È la cartina di tornasole del movimento. Oggi purtroppo in nazionale arrivano giocatori che, molto semplicemente, non sono da nazionale: 10 o 20 anni fa non ci avrebbero mai giocato.
Sembra che il nostro calcio non sia più in grado di produrre campioni.
Il talento si esaurisce se non viene coltivato. Datemi del nostalgico, ma per me uno dei problemi maggiori è aver perduto gli oratori: lì si giocava liberamente dall’una alle otto di sera, e il pallone ti piaceva per davvero. Oggi un bambino deve iscriversi da qualche parte e pagare, non tutti se lo possono permettere con la crisi. Questo non è giusto e riduce progressivamente il serbatoio. E poi le scuole di calcio ormai pensano solo a far quadrare i conti, a sfornare talenti per le società: troppi interessi, poco pallone.
Abbiamo perso di vista lo spirito del gioco?
Da noi la tattica e la competitività a livello giovanile sono sempre più esasperate, anche in categorie in cui il calcio dovrebbe rimanere un gioco. A 10 anni sei costretto a fare la parte fisica, quella teorica, gli esercizi senza palla, poi alla fine se va bene 5 minuti di partitella. La professionalità è importante, ma un bambino deve innanzitutto divertirsi.
È arrivato Mancini: è l’uomo giusto per ripartire?
Da solo non potrà fare nulla: bisogna investire sui giovani e sul lavoro sul campo. Lui, però, da ct ha un obiettivo fondamentale: qualificarsi ai prossimi Europei. Sembra poco ma non è scontato: un’altra eliminazione renderebbe la crisi irreversibile.