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 2018  giugno 11 Lunedì calendario

«Il mio eroe nero è uno Zero assoluto»

Antonio Dikele Distefano è diventato grande. Il 22 maggio è uscito il suo nuovo romanzo: Non ho mai avuto la mia età. Per chi lo conosce come il Federico Moccia nero, sarà una sorpresa. Il libro è strutturato, crudo, reale. Pieno e privo di speranza allo stesso tempo. È la storia di Zero, ragazzo nero del quartiere popolare di via Tommaso Gulli di Ravenna. Lo stesso dove è cresciuto lui, Antonio. Che è nato a Busto Arsizio nel 1992, da genitori immigrati angolani: suo padre è «un ex militare che combatteva per Mpla, il partito dominante durante la rivoluzione d’indipendenza angolana. Arrivò a Roma a fine anni 80 con un visto turistico. A dicembre del 1990 lo raggiunse mia madre con mia sorella di due anni». Poi la Svizzera, e di nuovo l’Italia, seguendo il flusso del lavoro. Dove c’è, ti sposti: da Busto a Cerignola («papà faceva il bracciante agricolo e mamma la badante»), poi Napoli e infine Ravenna. Il papà fa il meccanico, la mamma ha un negozio etnico che chiude quando il nuovo padrone delle mura fa notare che i neri non sono benvenuti, e torna in Angola.
Non tanta come in Fuori piove, dentro pure, il suo romanzo d’esordio, ma anche in questo c’è moltissima autobiografia. Non è stanco di parlare di sé?
«Ho voluto scavarmi dentro per l’ultima volta. Nel prossimo libro devo fare un passo avanti e raccontare storie che non mi appartengono. Mi sono detto: dì tutto quello che non hai ancora raccontato, e cerca di raccontarlo al meglio. Poi basta. Sono convinto di avere scritto un bel libro, quello che il pubblico capirà meno».
La preoccupa molto?
«Non me ne frega niente di piacere alle persone. Voglio scrivere robe belle, che mi interessano. Sa cosa ho fatto prima di scrivere il romanzo?»
Me lo dica
«Ho visto i documentari sui grandi. Beatles, James Brown, Oasis... Una frase di Noel Gallagher ha mi ha cambiato la visione: Le canzoni restano per sempre. Questo, mi interessa. Allora ho iniziato a guardare la data di pubblicazione di ogni libro che mi è piaciuto. Chiedi alla polvere di John Fante è del 1939, e io ero convintissimo che fosse degli anni 80. Ecco, questo è restare per sempre».
È ambizioso. Anche egocentrico?
«Sì: metto sempre il mio nome nelle copertine dei miei libri».
Qual è la sua migliore qualità?
«La capacità di arrangiarmi. Ho sempre avuto le scarpe pulite. Ho imparato tutto da solo, anche a scrivere, leggendo i libri degli altri. Solo oggi inizio ad imparare anche da chi mi circonda. Prima ero presuntuoso, credevo mi bastasse Google. Questo romanzo è la dimostrazione che ad un certo punto ho deciso di ascoltare». 
Il suo protagonista, Zero, che ha chiamato così perché è un ultimo, non ce la fa a sfuggire dal mondo tormentato e povero di via Gulli. Perché ha scelto di non dargli una possibilità?
«Se sei in un mare di fango, anche se ti muovi poco è impossibile non sporcarsi. Chi vive quel contesto, il fango ce l’ha fuori e dentro. È il contesto a dirti che ce la farai solo con il calcio e la criminalità. Appena Zero cerca di uscire è come se quel mare lo riprendesse per i polsi»
Lei però ce l’ha fatta
«In parte».
Non mi prenda in giro: è un autore quotato, vive in una bella casa a Milano, ha un’impresa: Sto. Che si articola in Records, l’etichetta musicale che produce il rapper Ghali, Magazine, il giornale di rap su Instagram e YouTube e anche Clothing, l’abbigliamento. E tra poco aprirà Per tutti, con cui farà beneficenza
«Questo è vero, è merito di chi mi ha educato. Ma che succederebbe se il libro non dovesse vendere? Sarei daccapo. Lo sa che una parte del mondo editoriale non mi considera nemmeno uno scrittore? Gli altri autori, e i giornalisti, continuano a definirmi autore social, Youtuber».
L’Italia è così razzista, come nel libro?
«Ogni paese del mondo lo è. L’Italia è un paese che non vuole accettare la realtà. Quando si affrontano temi come la Bossi-Fini o lo ius soli, è come se fossero nuovi. Ci chiamano ancora nuovi italiani, ma non è vero, sono 26 anni che esistono questi temi. E ne basterebbero solo due per cambiare le cose»
Lei non ha la cittadinanza italiana, perché?
«Non l’ho potuta chiedere appena compiuti i 18 anni perché i miei non ne avevano altrettanti di residenza continua in Italia, e allora devi seguire la procedura normale. La sto ancora aspettando. Se arriva, bene, se no sono comunque Antonio Dikele Distefano, scrittore. Fortunato».
Lei italiano ci si sente?
«Io lo sono».
Facciamo un gioco, allora: è il Presidente del consiglio. Come cambia le cose?
«Domani faccio lo ius soli senza dirlo a nessuno. Se non scaldi gli animi con i media, chi se ne accorge? E da domani a scuola facciamo religioni. Studiamo in modo laico ebraismo, islam, cristianesimo, come oggi i romani, i greci, gli egizi. Per prima cosa investo sulla scuola. Ma non faccio il presidente. Di numeri non ci capisco un c... Meglio il Ministro della pubblica istruzione».
Bene, Ministro, che altro?
«Introduciamo le ore di diversità. Spieghiamo cos’è e parliamo di persone che hanno cambiato il mondo con la forza di volontà. Gesù, Ghandi, Falcone e Borsellino».
Cos’è la diversità? Non crede che siamo tutti uguali?
«È una grande menzogna. Quando impari che le persone sono diverse tra loro, che la diversità è un valore aggiunto, allora le vuoi conoscere. Ma se dici che sono tutte uguali, appena ti guardi intorno e capisci che non è vero. Un algerino è diverso da un tunisino, un angolano è diverso da un nigeriano»
Gli angolani come sono?
«Grandi oratori, amano la musica, ballano la samba: è nata lì. Mangiano molto riso e fagioli neri»
Sembrano cliché, lo sa? E se le chiedessi se i neri sono tutti ben dotati?
«Non è vero. Mi ha spiegato Roberto Saviano che la storia deriva da un libro, Mandingo. Da lì si è radicata nella società. Nei film porno ci sono solo neri superdotati perché fa comodo allo stereotipo».