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 2018  giugno 11 Lunedì calendario

C’è un po’ d’Italia nel Brasile: Tite, un sogno lungo un secolo

Il Mondiale dietro l’angolo rimesta i sentimenti affiorati dopo lo spareggio con la Svezia: rabbia, amarezza, incredulità, rimpianto. Eppure, anche senza azzurri, non mancano belle storie italiane: quella di Tite, per esempio, il ct che ha restituito orgoglio e vittorie al Brasile, all’anagrafe Adenor Leonardo Bachi.
Miscuglio di dialetti
Il cognome del bisnonno Andrea, in realtà, era Bacchi, ma all’arrivo a Sao Braz, nel 1883, lo trascrissero male: era partito da Viadana, Bassa mantovana, per cercare una vita migliore e trovò un poco di tranquillità tra i filari di viti dove lavorava con la moglie Maria Domenica. I sacrifici non fecero mancare da mangiare, però non bastarono a spazzare via difficoltà quotidiane, trascinate fino a Genor e Ivone, il papà e la mamma di Ade: era questo il nome del ct da bambino, Tite cominciò a chiamarlo Scolari confondendolo con un compagno di squadra. Successe nel campionato scolastico che segnò la vita, perché gli aprì le porte del Caxias e di un sogno: Tite amava il calcio e sapeva d’essere bravo, ma era sull’orlo di abbandonare il pallone per dare una mano ai genitori. Quei genitori che tramandavano racconti d’un paese lontano e che spesso parlavano il talian, la lingua di comunicazione tra immigrati vicina al veneto, in realtà miscuglio di dialetti. «Ancelotti mi ha detto che parlo un italiano di mezzo secolo fa», ha raccontato una volta, sorridendo, e parlando d’Italia ha pure confidato d’essere stato avvicinato da un agente che gli prospettò la panchina dell’Inter.
Dalla Bassa mantovana
Storia di quattro anni fa, quando Tite era fermo dopo aver lasciato il Corinthians, guidato al successo nel Brasileirao, in Copa Libertadores e in coppa del mondo per club: disse no a tutti, scegliendo un lungo viaggio d’aggiornamento in Europa. Fu allora che conobbe Ancelotti: seguendo gli allenamenti del suo Real, allacciò una bella amicizia: «Carlo – il suo ritratto – ha la solidità offensiva di Mourinho e la creatività offensiva di Guardiola». Ha sempre amato studiare, carpire segreti ai colleghi attraverso stage e perfino biografie, ha seguito Arsenal, Barcellona e City, visionato tutte le partite dell’ultimo Mondiale: puntava a diventare ct, sostituire Scolari che aveva annunciato l’addio, invece scelsero Dunga e lui tornò a casa, al Corinthians: ancora un titolo, ancora applausi, e quel gesto di rinunciare allo stipendio, in un momento difficile per il club. Ha conquistato tutti con il suo tocco europeo, con il 4-1-4-1 o 4-4-2 solidissimo benché interpretato da calciatori fantasiosi, specchio di un allenatore che ha vinto tutto ma sempre pronto a mettersi in discussione e migliorarsi. Seguiva la Juve di Capello nel 2005 e studia oggi quella di Allegri («Ben strutturata – disse una volta -. Riesce a cambiare la linea difensiva da 3 a 4 con perfetta conoscenza degli spazi»), ieri il Real di Ancelotti e ora quello di Zidane.
Modulo a quattro stelle
Quando nel giugno 2016, con il Brasile in panne e il Mondiale in bilico, l’hanno chiamato al posto di Dunga, ha infilato 9 vittorie e ottenuto il pass per la Russia in anticipo. «Ho schierato i calciatori secondo i ruoli, il tecnico non ha bacchette magiche»: semplicità e modestia, in realtà la sua impronta e nitida e i grandi club lo osservano con attenzione. Non parlategli, però, di un futuro al Real Madrid: Tite pensa solo al Mondiale e s’è infuriato per l’abbinamento. Dopo la vittoria di ieri sull’Austria nell’ultima amichevole (3-0: Gabriel Jesus, Neymar, Coutinho), ha sottolineato la «mobilità impressionante» della squadra e s’è definito orgoglioso, lasciando però il mistero più intrigante sulla formazione immaginata per il debutto con la Svizzera. Perché la tentazione dell’europeo Tite è schierare insieme le quattro stelle Coutinho, Willian, Neymar e Gabriel Jesus.