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 2018  giugno 11 Lunedì calendario

James Senese “L’omaggio a Pino? Voluto dai padroni”

o live che testimonia i 200 concerti che James Senese ha tenuto negli ultimi due anni. Musica da un altro pianeta, a confrontarla con ciò che si ascolta oggi. Ci sono i successi di Napoli Centrale ma c’è anche Chi tene ‘ o mare, «omaggio a mio fratello Pino Daniele», dice Senese della canzone, struggente anche nella sua voce. Il sassofonista 73enne, l’altro nero a metà di Napoli, è stato uno dei principali animatori del concerto Pino è davanti a 50 mila spettatori allo stadio San Paolo di Napoli e in diretta tv su Rai 1.
Senese, lei ha aperto e chiuso il concerto…
«Per me c’è stata molta sofferenza: non sentire più quelle parole e quella voce che mi appartiene, che ci appartiene, mi ha fatto sentire fuori dal mondo.
Anche se poi ce l’ho messa tutta per restare in equilibrio».
Ci sono state molte critiche, specialmente in Rete non si
sono risparmiati.
«Il napoletano lo può cantare solo un napoletano. Lì era allo sbando.
Pino ha fatto cose egregie sui testi ma le sue canzoni cantate in quel modo non si capiscono più, anzi si capisce tutto al contrario. Siamo sempre comandati dai padroni, e di qui le conseguenze che ci tocca di sopportare: è tutta colpa loro».
Colpa della televisione e delle sue logiche?
«No, colpa di chi ha gestito Pino, di tutto l’entourage».
Si è notata l’assenza di artisti napoletani come Edoardo Bennato e Nino D’Angelo.
«È sempre stato così, c’è molta invidia nel nostro ambiente e manca il rispetto per ciò che uno è veramente. Ma io credo che la cosa più importante fosse mettere sul palco il super-gruppo (la band dei primi album di Pino Daniele, ndr). Eravamo il cuore di Pino, fummo noi gli artefici del suo successo. Ok, hanno messo due band a disposizione degli artisti, saranno anche bravi ma non c’entravano nulla con la nostra musicalità, con il nostro linguaggio».
Con Avitabile avete suonato “Tutta n’ata storia” oltre l’una.
«Hanno fatto di tutto per non farci emergere ma non è semplice nasconderci: il problema, per loro, è che se anche suoniamo soltanto una nota, si sente, siamo lì, siamo il cuore di Napoli, d’Europa direi: il nostro suono è talmente chiaro che usciamo sempre. Certo, Pino è Pino, ma c’è anche James Senese, ci sono anche Tullio De Piscopo, Tony Esposito, Enzo Avitabile, Enzo Gragnianiello, con un’eredità molto forte sulla nostra cultura. Sì, quella sera ci hanno accarezzato, ci hanno blandito, ma io ho 73 anni e non mi sono mai fatto prendere in giro da nessuno.
Sono stato al gioco, poi ho fatto la mia parte ed è venuta fuori».
Pino Daniele iniziò come bassista nei Napoli Centrale.
«Credo di avergli insegnato molto ma anche lui a me: Napoli Centrale era un gruppo estremo, senza compromessi, grazie a Pino ho trovato una parte di me stesso molto importante nella melodia, nel sentimento, nel cuore. Questo è Pino per me, un fratello».
L’altro nero a metà.
«Esatto, è proprio così».
Nell’inedito “Ll’America” lei dice che per lei, figlio di un afroamericano e di una napoletana, l’America sta qui.
«È un rivelarsi ai napoletani e al Sud in generale per dire che io sono americano ma sono nato qui, canto in napoletano e sono più napoletano dei napoletani.
Mi chiamano ancora James o’ mericano ma è ridicolo».
In “‘Ngazzate nire” critica la musica di oggi e Jovanotti.
«Mi venne in mente parlando di musica scopiazzata, con gli anni sono diventato più tollerante».
E di Liberato cosa pensa?
«Mamma mia. È un fenomeno di moda. La musica è altrove».