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 2018  giugno 11 Lunedì calendario

Un mondiale senza Italia ma tiferemo lo stesso

ome appassionarsi a un Mondiale senza l’Italia? Come reagiremo, dopo sessant’anni di tifo, a non vedere gli azzurri in campo?
All’inizio sarà durissima. Una generazione di bambini sarà privata del primo ricordo, dell’iniziazione allo sport nazionale. I ragazzini degli anni Sessanta ricordano l’arbitro Aston, «figlio di buona donna» come lo definì Gianni Brera, che ci eliminò per mandare avanti il Cile, e Pak Doo-Ik che «mulinando frenetiche gambette da sorcio» uccellò Albertosi. Quelli più fortunati dei Settanta non chiusero occhio la notte dell’Azteca, piansero per il Mondiale azzurro tenebra in Germania, ma si rifecero lo sguardo con la più bella Nazionale di sempre in Argentina. Noi che eravamo ragazzi nell’82 ritrovammo l’orgoglio di essere italiani, in una patria che usciva da anni drammatici. Gli anni Novanta sono legati alla «lotteria dei rigori» che ci costò tre Mondiali di fila; ma ci premiò nel 2006, coronando il sogno dell’ultima grande nidiata di campioni, Del Piero quasi al passo d’addio e Grosso miracolato, Totti che giocò con una gamba fratturata di fresco più piccola dell’altra, e Gattuso che corse per tre con un muscolo lacerato e guarito in tempi record.
Seguire i Mondiali senza l’Italia significa anche riflettere sul momento difficile del Paese, non solo nello sport. Un Paese che sembra aver perso la voglia di soffrire e di rischiare; anche se poi arrivano segnali in controtendenza, dalla giovinezza infinita di Fede Pellegrini e Vale Rossi alle sorprese di Cecchinato e Tortu; e mettiamoci pure le ragazze del calcio, a patto di non caricarle di attese eccessive.
Sarà comunque un bel Mondiale, anche grazie alle temperature fresche (la sera si giocherà con 15 gradi, forse meno). Ci appassioneremo per le squadre africane: a ogni edizione ne spunta una, anche se finora non è mai arrivata in fondo. Seguiremo con simpatia il Brasile con un 7-1 da riscattare e l’Argentina di Messi e Higuain, ormai persone di famiglia. Saluteremo veterani al passo d’addio, come Iniesta, forse anche Cristiano Ronaldo. Seguiremo i campioni delle squadre italiane. Senza nasconderci che il nostro calcio va rifondato, a livello federale e sul piano tecnico. Se non siamo in Russia, è perché abbiamo avuto i peggiori dirigenti e i calciatori più modesti degli ultimi sessant’anni. Lavoriamo perché sia l’ultima volta che ci tocca tifare per altri che non indossano maglie azzurre.