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 2018  giugno 10 Domenica calendario

L’antidoto contro il maoismo digitale

Peggio di chi annuncia che lascerà i social network c’è solo chi progetta di espatriare perché un politico sgradito ha vinto le elezioni. Questi ultimi li aveva sistemati una quindicina di anni fa lo scrittore Tom Wolfe quando disse che avrebbe votato George W. Bush non fosse altro che per andare all’aeroporto e fare ciao-ciao con la manina a tutti quelli che dicevano che si sarebbero trasferiti a Londra in caso di rielezione del presidente. Ma i primi, quelli che cominciano a rendersi conto della proiezione negativa sulla società della dipendenza dalla vita digitale, adesso hanno almeno dieci ragioni non luddiste per cancellare i propri account social e per farlo subito. Le ha raccolte in un sapido libretto appena uscito nel mondo anglosassone, Ten Arguments For Deleting Your Social Media Accounts Right Now, un pioniere di Internet come Jaron Lanier. Non è una questione banale, in gioco c’è il futuro della nostra società. Inventore della realtà virtuale, Lanier non è un nostalgico, non è un reazionario, non è uno che vuole distruggere le macchine. Al contrario è un entusiasta di Internet, degli algoritmi e degli smartphone, ma è anche consapevole del rischio gigantesco che sta correndo l’umanità. Una società fondata sul calcolo continuo, «continuous computation», secondo Lanier è destinata all’autodistruzione: «Non possiamo sopravvivere. Questo è un suicidio di massa». Da anni, Lanier mette in guardia sul pericolo di «maoismo digitale», una nuova forma di totalitarismo della rete che mortifica l’individuo, esalta la meschinità della folla e manipola l’opinione pubblica.  Il problema, secondo Lanier, è il modello di business di Facebook e di Google che si basa sulla ricerca di clienti disposti a pagare per modificare i comportamenti di qualcun altro. Quel qualcun altro siamo noi che cerchiamo su Google, che facciamo amicizia su Facebook, che condividiamo foto su Instagram, che diciamo la nostra su Twitter, che guardiamo i filmati su YouTube. In cambio della gratuità dei servizi offerti, i grandi colossi della rete succhiano le informazioni personali degli utenti e alimentano la loro dipendenza social per tenerli intrappolati in una specie di gabbia da esperimenti, come quelle usate dagli scienziati per anticipare le scelte delle cavie e per determinarle in base agli stimoli trasmessi.
Se il servizio è gratis, il prodotto non è l’utente: il prodotto è la capacità di determinare il cambiamento di un comportamento dell’utente. Prima di Internet, le aziende misuravano con le variazioni di fatturato se un prodotto funzionava meglio dopo una campagna pubblicitaria, ora invece misurano se gli individui cambiano o meno i comportamenti e sono interessate a sollecitarli continuamente affinché cambino modo di agire. I big della Silicon Valley fanno i soldi fornendo le chiavi d’accesso alla gabbia delle cavie in uno schema volto a produrre dipendenza e manipolazione e che enfatizza le emozioni negative rispetto a quelle positive. Lanier fornisce l’antidoto e l’antidoto è cambiare il modello di business della Silicon Valley, rigettare il dogma della gratuità, far pagare gli utenti per le ricerche su Google e per le amicizie su Facebook. Sembra una follia, ma Netflix ha rilanciato il business della tv facendo pagare una quota mensile, scrive Lanier, quindi perché escludere che possa funzionare per i social? Il modello è dannoso, ma la tecnologia è fantastica. Internet è il Dio che non ha ancora fallito, almeno per ora. Intanto, cancellate gli account.