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 2018  giugno 10 Domenica calendario

Intervista a Stefano Amatucci, il regista di “Un posto al sole”

«Mi fa piacere parlare di Lina Wertmüller», dice Stefano Amatucci, «è un’artista magnifica e una donna generosa. Ho lavorato con lei per dieci anni, come assistente. Ho fatto Sabato, domenica e lunedì, con Sophia Loren e Luca De Filippo, Io speriamo che me la cavo e alcuni documentari. Lina Wetmüller è stata la mia scuola, ho rubato a lei tutto quello che so. I film si preparavano tutti nella sua bella casa, a piazza del Popolo. Riceveva lì persino i produttori. I costumi, le scenografie — che erano del marito Enrico Job —, le sceneggiature: tutto. Mi ha fatto conoscere persone incredibili. Raffaele La Capria, Suso Cecchi D’Amico, e poi gli amici artisti, gli attori. Una volta qualcuno portò Nastassja Kinski e i suoi amici nell’appartamento in cui abitavo, a piazzale della Radio, a Trastevere. Lei aveva appena girato Paris, Texas di Wim Wenders, era una star mondiale e di una bellezza inarrivabile. Mi creda, da togliere il fiato» . Le credo, le credo… «Ed era anche simpatica, una pasticciona, voleva cucinare, fare la pasta. Ma invece fui io a preparare una puttanesca, ma nella confusione e per l’emozione dimenticai di aver maneggiato il peperoncino e mi passai le dita sugli occhi. Lo so che non ci crederà, ma Nastassja Kinski mi disse di sdraiarmi sul letto e poi si chinò sopra di me e si mise a leccarmi gli occhi, perché smettessero di bruciare».
Stefano Amatucci, napoletano, oltre ad aver vissuto l’esperienza che in quegli anni ogni essere sulla Terra avrebbe voluto vivere, è il regista di Un posto al sole, la soap opera più longeva e amata della televisione italiana. «Nata nel 1996, ha raggiunto le cinquemila puntate e circa trenta milioni di spettatori. Giriamo una media di venti scene al giorno, con un meccanismo organizzativo perfetto: una settimana prepariamo, una facciamo gli esterni, una gli interni e la quarta settimana montiamo. In questo modo riusciamo ad avere cinque puntate in quattro settimane. Un posto al sole va in onda ogni giorno alle 20.30 e le puntate durano venti minuti. È il posto in più a tavola, l’amico con cui cenare», mi spiega Amatucci. «Siamo così veloci che riusciamo ad agganciare le cose che accadono, e anche questo crea affezione». La storia si svolge dentro il palazzo Palladini, a Posillipo, e racconta torride storie d’amore, infuriate faide familiari, qualche passaggio nella malavita. Viene girata, montata e prodotta a Napoli. «Fu Minoli a volerlo» , racconta Amatucci, che ha partecipato anche alla realizzazione di Agrodolce, altra soap, stavolta ambientata in Sicilia, che non ebbe lo stesso successo. «Peccato, era una buona idea».
Che cos’è una soap opera, chiedo ad Amatucci, che differenza c’è con una serie tv. Anzi, perché le serie tv hanno tutto questo successo e le soap sono rimaste lì, nell’angolino delle cose un po’ impresentabili? «La soap è prima di tutto un prodotto popolare, deve essere comprensibile a chiunque e avere un andamento temporale lento e ondivago». Bisogna affezionarsi ai personaggi e le loro vite devono diventare familiari, i loro disastri sono un po’ anche i nostri. « Ma soprattutto niente carrelli. Questo ce lo ha spiegato all’inizio Wayne Doyle, autore del format originale australiano, Neighbours. È venuto in Italia e ha fatto lo show runner, scrivendo insieme a Adam Bowen e Gino Ventriglia. Quando gli abbiamo fatto vedere le prime scene, si è infuriato: dovete fare una soap, non una serie tv, ha detto. Niente carrelli. La macchina deve rimanere ferma e fare il suo lavoro, chiaro?».
Amatucci adesso ha girato un film, Caina, la cui protagonista è Luisa Amatucci, sua sorella e una delle protagoniste di Un posto al sole.
Che di mestiere, in un futuro possibile e prossimo, fa la “trovacadaveri”, con efferata efficienza. Recupera dal mare i corpi dei migranti affogati e li vende a imprese edili che li mischiano al cemento. Una donna gretta, razzista, una ragioniera dell’orrore. La storia è ispirata a un romanzo di Davide Morganti (Caina, Fandango), che è anche autore della sceneggiatura. Distribuito da mOOviOOle, verrà accompagnato dal regista in giro per l’Italia, come fosse uno spettacolo teatrale. «È una favola nera» , dice, «senza redenzione. Volevo raccontare il male attraverso lo sguardo di chi lo fa. Ma attenzione a prendere le distanze: c’è un po’ di Caina in ognuno di noi».