Che cos’è una soap opera, chiedo ad Amatucci, che differenza c’è con una serie tv. Anzi, perché le serie tv hanno tutto questo successo e le soap sono rimaste lì, nell’angolino delle cose un po’ impresentabili? «La soap è prima di tutto un prodotto popolare, deve essere comprensibile a chiunque e avere un andamento temporale lento e ondivago». Bisogna affezionarsi ai personaggi e le loro vite devono diventare familiari, i loro disastri sono un po’ anche i nostri. « Ma soprattutto niente carrelli. Questo ce lo ha spiegato all’inizio Wayne Doyle, autore del format originale australiano, Neighbours. È venuto in Italia e ha fatto lo show runner, scrivendo insieme a Adam Bowen e Gino Ventriglia. Quando gli abbiamo fatto vedere le prime scene, si è infuriato: dovete fare una soap, non una serie tv, ha detto. Niente carrelli. La macchina deve rimanere ferma e fare il suo lavoro, chiaro?».
Amatucci adesso ha girato un film, Caina, la cui protagonista è Luisa Amatucci, sua sorella e una delle protagoniste di Un posto al sole.
Che di mestiere, in un futuro possibile e prossimo, fa la “trovacadaveri”, con efferata efficienza. Recupera dal mare i corpi dei migranti affogati e li vende a imprese edili che li mischiano al cemento. Una donna gretta, razzista, una ragioniera dell’orrore. La storia è ispirata a un romanzo di Davide Morganti (Caina, Fandango), che è anche autore della sceneggiatura. Distribuito da mOOviOOle, verrà accompagnato dal regista in giro per l’Italia, come fosse uno spettacolo teatrale. «È una favola nera» , dice, «senza redenzione. Volevo raccontare il male attraverso lo sguardo di chi lo fa. Ma attenzione a prendere le distanze: c’è un po’ di Caina in ognuno di noi».