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 2018  giugno 10 Domenica calendario

«Racconto miracoli ma non la mia fede». Intervista a Glenn Cooper

Tre ragazze vergini, tutte di nome Maria – una delle Filippine, l’altra dell’Irlanda e l’ultima peruviana —, restano improvvisamente incinte. Dell’evento che ha segnato per sempre la loro vita rimane soltanto il ricordo di una luce accecante e di una voce: «Sei stata scelta». Non si tratta di un controverso fatto di cronaca e nemmeno del passo di un vangelo apocrifo, bensì dell’ultimo romanzo di Glenn Cooper, I figli di Dio (Editrice Nord), che chiama in causa Cal Donovan, il celebre professore universitario improvvisato detective per conto del Vaticano. Spetterà a lui sciogliere questo enigma che, se da un lato ha il sapore dei mirabilia medievali, dall’altro nasconde forse un complotto ai danni della cristianità. Un complotto che infonderà nel Papa il dubbio di come porsi davanti a un secondo (e addirittura triplice) Avvento che rischia di esporre la Chiesa cattolica a uno scisma. Non solo un thriller, dunque, ma un romanzo su ciò in cui crediamo. O meglio, su ciò in cui un giorno, forse, saremo tentati di credere.
MARCELLO SIMONI – A differenza della maggior parte dei tuoi romanzi, questo non si fonda su trame parallele ambientate in epoche passate. Tutto si svolge nel presente. Come mai?
GLENN COOPER – Volevo vedere se ne ero capace (ride). Scrivere una trama ambientata in differenti epoche storiche ti consente di affrontare situazioni sempre diverse, quindi non ti annoi mai. Ma suddividendo il romanzo in tante short story, ho a volte la sensazione di tradirlo. Da qui la scelta di dare a I figli di Dio una struttura più compatta.
MARCELLO SIMONI – Nonostante l’assenza dei «capitoli storici», non tradisci comunque la tua formazione di archeologo. Ho colto interessanti riferimenti a Myra, un sito paleocristiano della Turchia, e persino a Machu Picchu...
GLENN COOPER – Tu che scrivi romanzi ambientati nel passato condividerai senz’altro la mia passione per la ricerca, che è forse l’aspetto più divertente della scrittura. Mi riferisco al piacere che deriva dall’essere precisi nella resa degli eventi storici e pure della contemporaneità. Solo un narratore può conoscere lo sforzo profuso nella fase di documentazione, che per certi aspetti rappresenta una sfida personale. Talvolta impiego ore per approfondire la conoscenza di dettagli destinati a restare insignificanti per chiunque tranne che per me.
MARCELLO SIMONI – Veniamo al protagonista del tuo romanzo, Cal Donovan. Perché hai scelto di mettere le indagini legate al Vaticano nelle mani di un professore metà ebreo e metà cattolico?
GLENN COOPER – Quando ho dovuto scegliere il protagonista per la mia nuova serie di romanzi ho pensato a qualcuno che avesse una storia interessante alle spalle. Cal ce l’ha soprattutto grazie ai genitori che, appartenendo a confessioni diverse, esercitano su di lui un’importante influenza sul piano intellettuale ed emotivo. Cal poi deciderà di diventare cattolico praticante e questo mi è servito da motore per la trama. Accostarsi al cattolicesimo gli ha permesso di avvicinarsi al Vaticano e ai suoi intrighi.

MARCELLO SIMONI – È proprio attraverso le parole di Cal che tu svisceri le questioni «ecclesiologiche» del tuo thriller. Mi riferisco soprattutto al diritto canonico e ai processi di beatificazione.
GLENN COOPER – È stato appassionante documentarsi sul diritto canonico e sulla storia della Chiesa. Inoltre mi interessa molto la figura di papa Francesco. Il mio Celestino è una sua versione letteraria, anche se ancora più liberal e più progressista, ma non mi sono certo limitato a lui. Ho rivolto la mia attenzione a tutte le forze che entrano in gioco nella scacchiera della politica vaticana, dalle correnti liberali a quelle conservatrici. Finendo con il prospettare, addirittura, il rischio di uno scisma.
MARCELLO SIMONI – A proposito di scismi, hai pure fatto comparire un antipapa in perfetto stile medievale.
GLENN COOPER – Al giorno d’oggi ci sono molti cardinali che potrebbero rivestire alla perfezione quel ruolo.
MARCELLO SIMONI – Ma la vera fede dov’è? La fede in Dio, intendo. Nei tuoi romanzi se ne parla spesso, però tu non lasci mai trapelare la tua posizione.
GLENN COOPER – Preferisco tenerla nascosta. Se agissi diversamente mi sembrerebbe di privare il lettore della sua opinione, imponendo la mia. È fondamentale che chi mi legge si ponga delle domande. Non intendo fare il sermone, in altre parole. Pensa che una volta, durante la presentazione di uno dei miei libri della serie dei Dannati, evitai di rispondere a un vescovo che, seduto tra il pubblico, voleva gli rivelassi a tutti i costi che cosa fosse per me l’inferno.
MARCELLO SIMONI – Ma non è dell’inferno che parli in questo romanzo, bensì del concepimento virginale di tre giovani Marie: un evento che smuove pellegrinaggi e persino il commercio di reliquie. Frutto della superstizione?
GLENN COOPER – Si tratta più che altro della funzione che i miracoli hanno sempre svolto nella Chiesa, come pure in coincidenza col sorgere di qualsiasi religione. Credo non esista culto che non si basi su questo genere di eventi sovrannaturali, ovvero su un ponte di connessione tra l’uomo e il divino. Ho trovato logico pertanto che anche un’ipotetica, nuova religione (quella descritta nel mio romanzo) dovesse fondarsi su un miracolo. Il più efficace, oltretutto. Quello che sopravvive nella nostra memoria da duemila anni: il concepimento della Vergine Maria.
MARCELLO SIMONI – Eccoci dunque alle tre Marie. L’aspetto più inquietante della tua narrazione non è tanto l’eccezionalità delle loro gravidanze, quanto il modo in cui le ragazze vengono allontanate dalle loro famiglie e inserite in una macchina mediatica, un Grande Fratello che parla ai devoti per rivelazioni.
GLENN COOPER – Vero. Ed è per questa ragione che le tre ragazze dovevano provenire da famiglie indigenti. Se fossero appartenute alla classe media o agiata, il distacco di cui parlo nel mio romanzo non sarebbe stato possibile. Ecco quindi perché ho voluto porre l’accento sullo sfruttamento della vulnerabilità dei poveri, molti dei quali vivono nell’incrollabile speranza di un intervento divino, un «agente esterno» che possa salvarli e riscattarli dalla loro condizione. È proprio in un contesto del genere che è più facile introdurre il concetto di miracolo.
MARCELLO SIMONI – Il senso di miracolo permea ogni pagina del tuo libro. Ma parli anche di normalità. Non solo quella delle tre «immacolate concezioni» ma anche di Gesù e di Maria, quelli «autentici» del Vangelo.
GLENN COOPER – Proprio così. Probabilmente Gesù di Nazareth e Maria Vergine furono persone comuni. E in fin dei conti, lo sono tutti gli eroi, se ci pensiamo bene: si tratta sempre di gente normale che, in un certo momento della sua vita, viene chiamata a sostenere prove straordinarie.
MARCELLO SIMONI – La Chiesa viene invece rappresentata come un’organizzazione globale. È stata sempre così?
GLENN COOPER – Ritengo che l’aspetto della globalizzazione risalga al XX secolo, con l’avvento del telefono, dell’aereo e di internet. Fino all’epoca della rivoluzione industriale la Chiesa doveva essere diversa. Basti riflettere sulla lentezza con cui il Papa, prima, comunicava con l’America Latina o con l’Asia. Oggi invece tutto è immediato. Il progresso ha cambiato molto la Chiesa.

MARCELLO SIMONI – Ammetto di detestare le etichette, ma leggendo il tuo romanzo sono stato tentato di coniarne una nuova: theological thriller. Che ne pensi?
GLENN COOPER – Nemmeno io impazzisco per le etichette, però mi trovi d’accordo con la tua definizione. Le etichette piacciono molto agli editori che, a causa della segmentazione del mercato, sono costretti a collocare il tuo libro in una determinata categoria per orientare i lettori. Di solito quella che viene utilizzata per me riguarda il complotto religioso o il thriller a sfondo religioso. A me piacerebbe se invece, semplicemente, si trovasse scritto: «È come il Codice da Vinci, ma più bello» (ride).
MARCELLO SIMONI – Restiamo ancora sul discorso del «genere». Spesso i thriller vengono definiti una lettura leggera, ma è un errore. Prendiamo i tuoi, per esempio. Oltre ai colpi di scena e al mistero, offrono importanti spunti di riflessione.
GLENN COOPER – Mi fa piacere che tu abbia fatto questa osservazione perché riassume ciò che mi piace fare nei miei libri. Non mi interessano le trame basate esclusivamente sul movente o sull’omicidio. Mi piace scrivere di vicende in cui, oltre al thriller, si parli anche di argomenti interessanti su cui poter meditare. Altro aspetto fondamentale, per me, è che ogni mio romanzo debba sempre parlare di qualcosa di cui non si è mai scritto prima. Questa componente di originalità per me è irrinunciabile.
MARCELLO SIMONI – Tante informazioni, tante nozioni, ma trama veloce. I tuoi sono autentici page turner. Come raggiungi questo equilibrio? Io ho la mia formula, naturalmente. Ma la tua qual è?
GLENN COOPER – Credo che la mia formula derivi dal fatto che prima di scrivere romanzi realizzavo sceneggiature per il cinema. Questa «cinematicità» è essenziale per chi vuole dare ritmo a un thriller, e io cerco di impreziosirla collegandola a temi importanti quali la filosofia, la religione e l’archeologia. Questa ricetta, tra l’altro, mi ha consentito di raggiungere anche il pubblico dei giovani, che attraverso i miei romanzi si accostano ad argomenti «alti» che non leggerebbero mai di loro iniziativa.