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 2018  giugno 10 Domenica calendario

Bob Sinclar racconta la vera vita del dj

Quando era un bambino, Bob Sinclar non poteva immaginare per sé un futuro da dj. Ma se tanti, oggi, sognano di fare questo mestiere, il merito è suo e di pochi altri, che lo hanno completamente cambiato. «È vero, l’ho fatto», ammette senza retorica. Spettinato, maglietta lunga fino alle ginocchia e scarpe da ginnastica, Sinclar non sembra uno che festeggia 20 anni di carriera: il primo album è del 1998. Invece è così, e lo fa con un nuovo singolo, I believe. 
Come ci si sente, dopo vent’anni così?
«Tutto quello che è successo è tanto enorme che non saprei davvero cosa altro chiedere per il futuro. Da piccolo, è vero, non avevo un esempio, ora puoi scegliere chi è il tuo eroe».
Come è nata «I believe»?
«Non sono un musicista classico, non vado al piano e mi lascio trascinare dall’ispirazione. È una prospettiva di lavoro completamente differente. A Los Angeles ho conosciuto Tonino Speciale, un ragazzo italiano, e mi ha fatto sentire questa canzone. Dopo mesi di riflessione, ho deciso di portarla nel mio mondo».
E quale è il suo mondo?
«La dance sta cambiando, ora è contaminata dalla trap, che è fantastica, ma non è il mio mondo. Ho un enorme team di musicisti a Parigi: con loro ho puntato su sonorità mie, cantate da Speciale, anche se di solito scelgo cantanti neri. Ed è nata questa canzone. Se andrà bene, produrrò un disco. Il segreto è non seguire le mode: se copi al massimo puoi essere il numero due, e a me non interessa. Se vedi un Basquiat lo riconosci subito. Con la musica deve essere lo stesso». 
In cosa crede?
«Nell’energia. L’entità che chiamiamo Dio per me è l’energia che condividiamo».
Quanto è cambiato il suo lavoro negli anni?
«Tantissimo, ma alcune cose restano uguali. La nostra è una musica che si fa con etichette indipendenti e io ho iniziato producendo ogni vinile. Passo dopo passo, toccavo sempre più persone: ogni venerdì venivano sempre di più per sentirmi suonare, ai club. Poi è arrivata Love generation e tutto è decollato. Ma non so quello che succederà nei prossimi dieci, vent’anni».
Il futuro la preoccupa?
«L’idea della pensione mi preoccupa molto, sì. Mi spaventa. Non voglio andare in pensione: non c’è nessun dj noto che lo ha fatto... A 80 anni non mi vedo in consolle ma ci resterò finché sarò in condizione. Fare musica e suonarla è il motivo per cui mi alzo ogni mattina, come potrebbe cambiare? Mi sento vicino a Roger Federer o altri atleti... Per fortuna il mio mestiere ha meno a che fare con il corpo, e poi sono in forma, mi prendo cura di me, non bevo, non fumo e mangio bene. Sono molto rigido».
Il salutismo non è la prima cosa che viene in mente se si pensa alla vita della notte...
«Ma io non sono uno che va in discoteca, sono un artista appassionato di quello che fa. La musica mi dà l’energia, nient’altro. Quanto agli altri, per me puoi fumare, bere... ma serve conoscere i propri limiti per non fare male a te e ad altri».
Cambierebbe qualcosa del suo passato?
«Niente. E non ho fatto tutti successi, anzi. Anche canzoni che non hanno funzionato per niente. Ma è dalle cadute che si impara di più».
Per molti ragazzi lei è una leggenda...
«Se lo sono è per quello che dico. Cerco sempre di dare i giusti messaggi. E sono una persona vera, non ho mai mentito e non mi sono mai messo nemmeno in coda a un trend per interesse. Voglio dare io la direzione».
Quando si pensa alla vita dei super dj vengono in mente i jet privati, il lusso, i vizi...
«Io mi sento un artigiano che produce la sua musica. Un piccolo imprenditore ma anche un ragazzo che crea qualcosa nella sua cameretta. Non ho mai permesso di trasformare la mia passione in soldi. Volo sui jet privati per sopravvivenza: quando suoni ogni sera in posti diversi devi dormire un po’ di più, recuperare energie».
Quest’anno è segnato dalla morte di Avicii. Come è stato per lei?
«Uno dei momenti più difficili della storia della musica dance. Ho visto un documentario su di lui: sentivo la sua richiesta di aiuto, capivo la sua sofferenza. Al successo devi essere pronto: a 18 anni puoi? È molto triste che nessuno abbia ascoltato il suo grido».
Lo conosceva?
«Sono stato il primo a chiedergli un remix e a credere in lui. L’ho conosciuto e mi sono detto: questo ragazzo è incredibile. Poi è esploso: lo seguivo, suonavo la sua musica... la sua morte è stato un grande choc».