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 2018  maggio 22 Martedì calendario

L’amicizia tra Sironi e Mussolini

Un Lenin
dalle sembianze di orco che taglia le teste con la falce, massoni dipinti come enormi aracnidi che tessono la loro oscura tela sulla Penisola, antifascisti-scorpioni trafitti da un punteruolo patriottico, panciuti borghesi sottomessi ai sovversivi di turno. Cola il sangue, cresce l’orrore nelle immagini disegnate da Mario Sironi per illustrare la situazione politica degli anni ’20 e ’30 del ‘900, create appositamente per il giornale di Mussolini,
Il Popolo d’Italia
e ora in mostra a Lucca (fino al 3 giugno al Lucca Center of Contemporary Art, a cura di Fabio Benzi). Oltre 100 vignette che richiamano più la nuova oggettività espressionista che non la propaganda di cartapesta tanto amata dal Regime. A tratti emerge un’ironia tetra, dominano i temi di morte e decadenza Altro che «giovinezza», nella sua arte regna sovrana l’antiretorica. Pochissime le occasioni per rivendicare i successi mussoliniani, come quando, alla vigilia della marcia su Roma, una bella Italia in vesti romane stringe la mano a una camicia nera con l’immancabile fascio littorio. Eppure il leader fascista aveva voluto proprio quel cupo pittore delle periferie lombarde come principale illustratore del suo quotidiano. E d’altronde poteva contare sulla fedeltà assoluta dell’artista.
Marinetti
Tramite F.T.Marinetti, Sironi incontra per la prima volta Mussolini nel 1919. Il pittore è reduce dalle trincee della prima guerra mondiale, dove ha combattuto come volontario, guadagnandosi sul campo una medaglia al valor militare. Il capo del futurismo presenta l’artista al futuro Duce come un uomo che «non ti tradirà mai». Il leader fascista rievoca così quell’incontro avvenuto nella sede-bunker del Popolo d’Italia, fra teschi, rivoltelle e bombe a mano: «Sironi mi guardava. Non parlava. Il volto mi rivelava malinconia che non era tristezza, ma già sapienza delle cose del mondo. Io ammiravo i disegni contenuti in una grande cartella. Disse che li aveva portati tutti per me». Da quel momento diventa l’illustratore principale del Popolo d’Italia, il giornale ufficiale del fascismo. È un lavoro non molto retribuito, ma essenziale per un artista con non poche difficoltà economiche. Spesso l’argomento dell’illustrazione viene deciso da Mussolini. Ma Sironi non intende calarsi nel ruolo di un semplice agit prop. Confida alla sua principale sponsor, Margherita Sarfatti: «Ripenso malinconicamente alle fatiche incredibili che ho fatte per penetrare un poco in una materia così indigesta per me come la politica».
La marcia su Roma
Nell’ottobre del 1922 il pittore partecipa alla marcia delle camicie nere sulla capitale e pochi giorni dopo, in Camerati, disegna gli squadristi che sfilano salutando romanamente i caduti della grande guerra, giganteschi teschi con l’elmetto. La morte è sempre lì, in agguato. Il 3 novembre firma, con Carrà, Funi e Marinetti, Un omaggio a Mussolini di poeti, romanzieri, pittori, in cui si legge che, con il nuovo governo fascista, «viene finalmente sfasciata la mediocre mentalità che da tanti anni soffocava la precipua qualità della razza: l’eccellenza dello spirito artistico. Noi siamo sicuri di avere in Mussolini l’Uomo che saprà giustamente valutare le forze della nostra Arte dominante sul Mondo».
Sull’onda di questo entusiasmo arriva la stagione del gruppo Novecento, delle grande pitture murali e degli affreschi, che trova Sironi al centro del dibattito sull’arte fascista. Parallelamente alle opere pubbliche, continua la sua attività di vignettista. Bollato dai futuristi come «passatista» e dai tradizionalisti come «modernista», Sironi tira dritto per la sua strada, protetto in più occasioni da Mussolini e sempre fedele all’ideale fascista.
La fine del regime
Ancora nel 1942 scriveva: «Muoviamo meglio come soldati millenari verso l’avvenire, nel cielo ornato di canzoni guerriere». Tuttavia nell’ottobre dello stesso anno, in occasione del ventennale della marcia su Roma, manda un’angosciosa missiva a Mussolini: «Dio protegga Voi, e con Voi tutti noi», scrive, pur ribadendo «ardentissima e totale fedeltà». Nessuna Vittoria alata si intravede all’orizzonte. Il mito fascista si infrange definitivamente nel dramma delle continue sconfitte. L’avvento della Rsi lo vede pur sempre al fianco dell’ormai tramontante Duce.
La liberazione non decreta la sua scomparsa dal panorama artistico: è maestro troppo grande per poter cadere nel dimenticatoio. Il ritorno al cavalletto, in immagini sempre più pervase da un oscuro pessimismo, lo mantiene ancora in vita. L’artista si spegne, solo come un cane, in una Milano deserta il 13 agosto 1961. La sua compagna, Mimì, è in vacanza in Scandinavia. Al corteo funebre partecipano solo i parenti più stretti. C’è anche un mutilato della grande guerra che porta la bandiera dei volontari ciclisti. Il vessillo di un tempo lontano si sfilaccia nell’aria afosa di ferragosto. Come distanti anni luce appaiono oggi le polemiche sollevate dalle tenebrose vignette di Sironi, icone sbiadite di un’era sepolta.