Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  maggio 21 Lunedì calendario

Il problema della Francia

Prima ancora di esistere il nuovo ministro degli Esteri sa già quale sarà il problema più immediato che lo attende: i rapporti con Parigi. Non l’unico, ma il più contorto. Con nessun’altra capitale europea c’è un simile intreccio d’interdipendenze e concorrenza. A Roma non c’è ancora un governo, ma a Parigi il programma giallo-verde ha fatto subito scattare un campanello d’allarme e un riflesso condizionato. L’uno: con la stabilità dell’euro non si scherza; l’altro: approfittare dello spazio in Libia e nel Mediterraneo. Parigi e Roma hanno interessi convergenti in tema di rafforzamento e gestione dell’Eurozona, basti pensare alla ricerca di formule di mutualizzazione del debito. Per superare la rigida ortodossia di Berlino e dei nordici, la Francia di Macron ha bisogno dell’Italia – ma non di un’Italia eversiva che indulge a fantasie di tagli di 250 miliardi di debito e di valute parallele. Non di un’Italia prima sì, poi non so sulla Tav.
Il ministro dell’Economia, Le Maire, è uno che non ha peli sulla lingua. «Vogliamo essere vassalli degli Stati Uniti?» ha detto dopo che Trump aveva annunciato il ritiro dall’accordo nucleare con l’Iran. Ieri è toccato all’Italia: che rispetti gli impegni e non metta a rischio la stabilità finanziaria dell’euro; il suo futuro è in Europa. Parole pesanti, ma prima di gridare all’ingerenza, i nostri futuri governanti hanno l’onere di dire quale sia l’alternativa all’Ue – e, per favore, non «un’altra Europa», dire dove e con chi a Est, o a Sud o a Nord.
Mentre l’Italia continua a interrogarsi su chi sarà il leader del futuro governo, quasi fosse l’amletico dubbio inglese su chi avrebbe accompagnato Meghan Markle all’altare di Saint George’s Chapel, la Francia non perde tempo. I francesi procedono come un treno nella revisione del Trattato dell’Eliseo con la Germania, nel posizionarsi come anello militare di congiunzione fra Regno Unito e difesa europea e nell’occupazione degli spazi vuoti in Mediterraneo e Nord Africa. Un anno fa si era risolto nel nulla il tentativo di Macron di mediare la pace libica fra Fayez al-Sarraj e Khalifa Haftar. Riavvolto il tappeto rosso a Parigi, Roma e la nostra ambasciata a Tripoli erano tornate ad essere il principale punto di riferimento dei due leader e delle varie realtà tribali – i risultati si sono visti nel contenimento dell’immigrazione. Adesso Macron spinge di nuovo Haftar e al-Sarraj ad incontrarsi sotto l’egida francese, senza presenza italiana. A fronte di quest’attivismo i due devono pensare al futuro ed è un futuro in cui il ruolo dell’Italia in Libia è avvolto nei fumi di un programma, che restringe la politica mediterranea al contrasto al terrorismo e immigrazione e svaluta il ruolo delle missioni militari. Parigi coglie la palla al balzo. C’è da stupirsi se al-Sarraj e Haftar accettano l’invito? Il nuovo governo italiano può rispondere in due modi: rinnovando l’impegno in Libia e mettendo con fermezza i paletti con Parigi; oppure esordendo con una generica impennata anti-gallica. Quest’ultima sarebbe un errore.
Tra Francia e Italia esistono obiettivi motivi di frizione, come l’immigrazione. La fisiologica concorrenza è gestibile dentro un’Ue di cui siamo entrambi partner con obiettivi e sensibilità comuni. Anche questo ci ha ricordato ieri Le Maire. Il messaggio, brutale, è solo più esplicito della preoccupazione nella mente dei nostri partner dalla Slovacchia al Portogallo: quella di «perdere» l’Italia. Ma se l’Italia perde l’Europa, quo vadis?