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 2018  maggio 21 Lunedì calendario

Il pianto di Serena Williams quando fu sconfitta dalla Sharapova

Qualche minuto dopo ero accanto a Serena per la consegna dei trofei.Perdere su un palcoscenico cosí importante è durissima, credetemi, l’ho sperimentato in seguito. Devi mostrarti affabile e gentile, mentre dentro piangi.Wimbledon poi è un vera tortura, perché è l’unico Grande Slam in cui l’atleta sconfitto è costretto a fare il giro di campo assieme alla vincitrice che mostra orgogliosa il trofeo al pubblico. È uno dei momenti piú difficili che un tennista possa affrontare nel circuito. Hai dato tutto di te su quel campo sperando nella vittoria, non si sa come hai perso e ora devi assistere al trionfo, nello stadio e in tv, della persona che ti ha preso tutto. Un tormento. La seconda classificata riceve un piatto commemorativo e un ringraziamento. La vincitrice conquista il cosiddetto Rosewater Dish, un vassoio d’argento – assegnato per la prima volta nel 1886 –, un premio in denaro di circa un milione di dollari e il plauso affettuoso del pubblico. I premi furono consegnati dal Principe Carlo e dal Presidente dell’All England Tennis Club.Serena ricevette il suo per prima.Seppe gestire bene la situazione, alla domanda di un cronista su che cosa provasse, rispose parlando solo del mio successo – ma dietro i sorrisi e le frasi di circostanza era evidente che soffriva e smaniava per andarsene, come era logico.Quanto a me, davanti alle telecamere cercai di non dimenticare nessuno nei ringraziamenti. Nominai Nick Bollettieri e Robert Lansdorp, i miei genitori, e accennai a Juan Carlos Ferrero senza però nominarlo, credo di non aver mai reso pubblico quell’episodio fino a oggi. A un certo punto guardai in alto il mio palco, e sorridendo al mio team feci il segno delle forbici, per ricordare a mio padre, al mio allenatore e al mio preparatore la scommessa: «Se vinco vi rasate a zero». Poi in realtà non l’ho preteso, anche perché se mio padre si fosse rasato i capelli forse non gli sarebbero mai piú ricresciuti. Raggiunsi lo spogliatoio da sola. Serena aveva lasciato il campo appena possibile, senza dare nell’occhio.Non ci avevo fatto caso e non ci avrei neanche pensato se, entrata nello spogliatoio, non mi fossi resa conto di un particolare. Dalla sua cabina privata una giocatrice non può vedere l’avversaria, ma sente i rumori, e quello che giunse alle mie orecchie mentre mi cambiavo era il pianto dirotto di Serena Williams. Gemiti gutturali strozzati, singhiozzi ininterrotti.Me ne andai il prima possibile, ma lei sapeva che ero lí. Spesso ci si domanda perché mi sia sempre stato cosí difficile battere Serena; negli ultimi dieci anni mi ha dominato, sconfiggendomi 19 volte su 21. Spesso questa mia difficoltà viene spiegata citando la potenza di Serena, il suo servizio e la sua sicurezza, oppure confrontando i nostri stili di gioco, e senza dubbio c’è del vero in tutto questo, ma il motivo reale va trovato in quello spogliatoio, dove io mi cambiavo e lei piangeva.Penso che Serena mi odiasse perché ero la ragazzina esile che l’aveva sconfitta a Wimbledon contro ogni pronostico, perché l’avevo vista in difficoltà. Ma soprattutto mi odiava perché l’avevo sentita piangere. Non mi ha mai perdonata per questo. Non molto tempo dopo il torneo so che disse a un’amica, che poi me lo ha riportato: – Non perderò mai piú contro quella stronzetta.
(da Inarrestabile la mia vita fin qui, Einaudi stile libero