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 2018  maggio 21 Lunedì calendario

Il tetto di lamiera di Marcello Fonte


CANNESHa esitato, prima di afferrare la Palma d’oro: «Volevo solo godermi il momento un pochino di più. Non avevo fretta. Ho contato fino a tre come si fa quando si parla, che mi pare sempre la cosa migliore», sussurra Marcello Fonte quando, sceso dal palco, s’avvia verso la sua notte da vincitore al Festival di Cannes come miglior attore per Dogman di Matteo Garrone. L’ex ragazzino nato a Melito di Porto Salvo e cresciuto ad Archi, a un passo da Reggio Calabria, ha trovato il suo posto dell’anima nel Grand Theatre Lumière: «Qui mi sento a casa e voi siete la mia famiglia» ha dichiarato al gotha del cinema mondiale in platea. Alzando gli occhi al soffitto ha ammirato la bellezza dei fari: «Sono i Par – spiegherà con la sapienza tecnica di uno che ha fatto il tuttofare a teatro – Non li fabbricano più ed è un peccato perché sono magici». Spenti quei riflettori parte l’assalto della stampa internazionale cui l’attore minuto si racconta con una genuinità mai banale, la faccia neorealista troppo sciupata per i suoi 39 anni.«Lo sa che è amato dai cinefili di tutto il mondo?», chiede un francese. E lui: «È un amore ricambiato». Altri rievocano la sua frase sul palco, l’immagine della pioggia sul tetto di lamiera che da bambino sognava fossero applausi. «Mi sentivo solo, sognavo di essere qualcosa, di essere accettato. Sono cresciuto in una discarica, eravamo tutti pigiati a tavola, otto fratelli e i miei genitori, sotto quel tetto di lamiera. Avevo sette anni, guardavo la televisione e mi sentivo lontano da tutti, chiudevo gli occhi e immaginavo. Sul palco sono tornato indietro nel tempo.Quell’applauso era anche per mio padre che non c’è più, che ha fatto tutto grazie all’arte di arrangiarsi.E penso a mia madre, che mi ha dato la vita». Ancora non lo sa che il figlio ha vinto: «Ho provato ad avvisarla, ma mia madre non ha internet. Solo una vecchia tv senza audio. Chissà, forse qualche zia la starà chiamando...». Nel fuoco di fila delle domande c’è chi tira in ballo Pasolini: «Sono contento, ma senza togliere nulla a nessuno, io avevo davanti Matteo e basta, il suo modo di lavorare. È un allenatore che conosce i calciatori. Sul set ci ha insegnato a passarci la palla, a segnare insieme».L’incontro tra regista e attore è avvenuto grazie alla compagnia degli ex detenuti Fort Apache: «Sono entrato nel gruppo durante le prove di uno spettacolo al Cinema Palazzo, un luogo occupato da sette anni, io vivo lì e faccio il custode. Quando un attore si è sentito male ed è morto l’ho sostituito. Ho ancora la sua foto attaccata al computer, ogni tanto gli dedico i miei momenti di gioia». Sconosciuto al grande pubblico ma attivissimo sulla scena culturale romana, ha partecipato a occupazione importanti, compresa quella del Teatro Valle. All’inizio a sbarcare il lunario l’hanno aiutato le comparsate al cinema, quella in Gangs of New York è immortalata in una foto con DiCaprio scattata da Daniel Day-Lewis: «Non lo avevo riconosciuto». Al tempo il regista italoamericano per lui era Martin Scozzese, «avevo capito così da mio fratello scenografo.Quando vivevo in Calabria nelle baracche non avevo mai visto il cinema, mi era precluso, non avevo soldi. Arrivando a Roma ero in uno stato di ignoranza pura».Garrone scorta felice il suo attore nel tragitto affollato dal Palais verso il quartier generale di Rai cinema al Grey d’Albion per festeggiare. Fonte prende tempo prima di alzare il calice e ora sappiamo perché. Se Dogman è lontano dal fatto di cronaca, pieno di poesia e privo di efferatezza lo si deve anche a questo piccolo Buster Keaton moderno, un giovane Roberto Benigni delle origini. Proprio a Benigni «dodici anni fa proposi al prima stesura del film», dice Garrone. «Rifiutò, la sceneggiatura era ancora cruenta. Roberto mi ha detto che il film gli è piaciuto e Marcello lo ha conquistato. Vederli sul palco insieme è stato per me un momento chapliniano: hanno lo stesso candore, lo stesso registro comico». «Io però sono un attore drammatico» Marcello puntualizza. Più tardi ancora ne discutono, Matteo spiega «era un complimento». Varcano l’ingresso dell’Agorà, accolti con calore dalla giuria. Marcello va al tavolo di Alice Rohrwacher, premiata per la sceneggiatura di Lazzaro felice.«Io sono felice anche per lei, con cui ho lavorato in Corpo celeste. Con il produttore Carlo Cresto-Dina nel 2014 avevamo girato Asino vola, non è ancora uscito...». In quel film raccontava la sua Reggio Calabria e la passione per l’organetto.Il “dogman” ha un pensiero anche per la “collega” a quattro zampe del film: «Genny, la cagnolina “congelata” nel film ha vinto la Palm dog. Gliela consegnerò appena tornato a Roma. Sarà felicissima, anche se il collare è un po’ grande e dovrò fare un po’ di buchi...». Marcello vorrebbe fermare il tempo. «Stamattina per telefono fingeva di essere ancora al Cinema Palazzo, che ancora tutto dovesse ancora succedere», ride Garrone. E lui: «Il sogno è diventato realtà, ma chissà, magari quando poi mi sveglierò mi troverò ancora sotto quel tetto di lamiera».