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 2018  maggio 21 Lunedì calendario

Che fare delle biblioteche d’autore


Un parere autorevole sul destino della biblioteca di Umberto Eco? Ecco quello di Umberto Eco. «Il bibliotecario deve considerare il lettore un nemico, un perdigiorno (se no sarebbe a lavorare), un ladro potenziale». Così scriveva, nel 1981, il grande semiologo, giocando un po’ in difesa: «Idealmente, l’utente non dovrebbe poter entrare in biblioteca». Nella querelle sulla destinazione del suo ampio patrimonio librario si è aggiunta nei giorni scorsi, dopo quella del Gabinetto Vieusseux di Firenze, anche la proposta della città natale di Eco, Alessandria.La custodia delle biblioteche d’autore ha, in Italia, una storia alterna e accidentata. Il legittimo imbarazzo degli eredi e l’inerzia o inadeguatezza delle istituzioni rischiano di essere – e sono state spesso – causa di fughe di “capitali librari” all’estero, o di lunghi e luttuosi stalli. Non è sempre facile difendere il «valore complementare» di biblioteca e archivio, come lo definisce Giuliana Zagra, prima curatrice del Fondo Morante alla Biblioteca nazionale di Roma: «Anche per banali ragioni di spazio, si privilegiano gli archivi. Le biblioteche hanno una gestione più complessa: la catalogazione capillare, con la messa in rilievo dei libri postillati, è un lavoro impegnativo ma essenziale per ricostruire piste di ricerca, nessi, parentele». Polemiche e incertezze accompagnarono le donazioni dei fondi di Lalla Romano (oggi alla Braidense di Milano), di Edoardo Sanguineti al comune di Genova. La leggendaria biblioteca di Giuseppe Pontiggia e il suo archivio sono tornati in Italia dopo essere passati dalla Svizzera.Prima che un generoso lascito per interposta persona, quei volumi sono la fotografia – trasparente e allo stesso tempo enigmatica – di una mente.Custodirla integra, il più possibile compatta e collegata all’archivio, significa tenere in vita, come reti neurali, le «parentele» non genetiche.Quando, nelle pagine di Lo scaffale infinito, Andrea Kerbaker racconta un incontro con Eco nella sua biblioteca, ricorda che per il semiologo parlare dei suoi libri era «come parlare di sé stesso». Definiva la sezione antiquaria «Bibliotheca semiologica curiosa, lunatica, magica et pneumatica», e nella scelta degli aggettivi c’è già quasi un autoritratto. Forse anche un sottile invito a trattare quel patrimonio con le cautele dovute alla sua natura “magica” e “pneumatica”. Non c’entrano i copertoni, ma il soffio della vita interiore.Come si scrive sulle scatole dei traslochi, maneggiare con cura.