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 2018  maggio 21 Lunedì calendario

Il faccendiere che rifornisce Kim

Sono i faccendieri. Figure in grado di procurare qualsiasi cosa al regime di Kim Jong-un. Mezzi, cibo, oggetti di lusso, tecnologia, materie prime e tutti quei prodotti colpiti dall’embargo internazionale. Per aggirare i controlli Pyongyang ha disseminato in numerosi Paesi un buon numero di agenti insospettabili. Pazienti, dedicati, parsimoniosi e attenti a non dare troppo nell’occhio. Personaggi come un cittadino nordcoreano finito nella rete delle autorità malesi.
La storia Ri Jong-chol – questo il suo nome – è stata raccontata dal Wall Street Journal che ha avuto accesso al file degli investigatori. Una mole di indizi importanti ricavati dall’esame di un tablet, quattro cellulari e tre computer sequestrati nella sua abitazione. L’uomo è stato sospettato di aver avuto un ruolo logistico nell’agguato costato la vita a Kim Jong-nam, il fratellastro del leader assassinato con una sostanza chimica a Kuala Lumpur il 13 febbraio di un anno fa. La polizia lo ha fermato e poi rimesso in libertà dopo che il Nord aveva di fatto preso in ostaggio diversi cittadini malesi. Così Ri, insieme ad altri funzionari, è potuto tornare a casa. Chissà se lo hanno ricompensato per la missione svolta per ben quattro anni.
Il funzionario è arrivato in Malaysia attorno al 2013 grazie all’aiuto di uno zio in rapporti con uomini d’affari a Kuala Lumpur. Ri si è sistemato in un quartiere normale, con un appartamento normale insieme alla moglie e alla figlia. Un particolare non secondario visto che spesso le autorità del Nord trattengono la famiglia in patria per evitare fughe ed esercitare pressioni. Chiaramente si fidavano. E il loro uomo ha ricambiato creando una fitta rete di relazioni commerciali.
L’inchiesta ha accertato che Ri Jong-chol ha spedito verso Pyongyang grosse partite di olio di palma, sapone, 50 mila bottiglie di vino italiano (valore 250 mila dollari) e forse una grande gru di seconda mano. Nel suo telefonino c’era la foto del veicolo molto somigliante a quello apparso, nel maggio 2017, in un impianto militare vicino ad uno dei missili balistici. È la stessa gru? Possibile.
I carichi sono stati inviati sempre attraverso triangolazioni con la Cina – in particolare Dalian – e con esborsi di denaro quasi mai superiori ai 10 mila dollari. In uno scambio di email agli atti risulta che i nordcoreani, a volte, erano in difficoltà nel rispettare le date di pagamento. Ri allora si scusava affermando che non sempre c’erano i soldi a disposizione. Molti di questi messaggi erano redatti dalla figlia Yu-gyong in quanto l’inglese del padre non era sufficiente. Un risvolto strano visto che il regime, in passato, non ha esitato a sequestrare stranieri in modo da preparare i suoi 007 agli usi e alle lingue di dove poi sarebbero stati infiltrati.
Poliglotta o meno l’emissario ha svolto la missione. Oggi a portarla avanti ci sono altri «colleghi», non meno di novanta, mimetizzati dietro società di copertura.