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 2018  maggio 21 Lunedì calendario

L’amico del popolo Di Maio e l’Amico del popolo Marat

Come sarà, questo «amico del popolo» indicato da Di Maio quale premier? Presto avremo forse modo di conoscere il misterioso professor Conte. Ma già sappiamo chi sia stato l’Amico del popolo, quello vero. «L’Ami du Peuple» era il soprannome di Jean-Paul Marat, nonché la testata del suo giornale.
A dispetto del nome, lo stile non era fraterno e pacifico come quello dei miti giuristi amici dei 5 Stelle. Grande ammiratore di Rousseau e della sua idea di uguaglianza e fratellanza universali, Marat coltivava però un coté giustizialista. Prometteva «il supplizio ai predoni, ai concussori, ai satelliti del dispotismo». Si fece «espressione permanente della giusta collera del popolo». Ghigliottina per tutti, a cominciare dal re «spergiuro, senza fede, senza pudore, senza rimorsi». Inventò la rubrica delle Lettere, pubblicando anche quelle anonime, con un impatto sull’opinione pubblica del tempo paragonabile a quello della rete: i lettori si scatenarono; qualcuno arrivò a scrivere che la regina aveva partecipato a un’orgia con le guardie del corpo, calpestando il tricolore e innalzando ebbra il vessillo bianco con i gigli dell’antico regime. Marat fece anche cose poco grilline. Ad esempio chiese soldi pubblici per il suo giornale (il ministro dell’Interno, moderato girondino, glieli negò). E non è detto che fosse favorevole al reddito di cittadinanza: per lui lo Stato deve assicurare agli indigenti il necessario per vivere, ma non deve nulla «al fannullone che si rifiuti di lavorare» (certo, Di Maio prevede che il reddito decada dopo tre rifiuti di offerte di lavoro; ma in certe aree depresse chi ha mai ricevuto tre offerte di lavoro?). Va considerato inoltre che la categoria dell’amico del popolo presuppone quella del nemico del popolo – banchieri, sfruttatori, sanguisughe e chiunque in genere la pensi in modo diverso e quindi sbagliato —; la quale richiama a un’altra rivoluzione, ancora più sanguinaria: quella bolscevica. Di solito alla Rivoluzione segue la Restaurazione, che può prendere il volto di Napoleone o quello oggi molto amato in Italia di Putin. Però non bisogna mai prendere i ricorsi storici troppo sul serio. Di Maio, più che ai gulag e alle purghe, quando evoca i nemici del popolo pensa forse – come del resto tutti quanti noi – al cane che perseguita Paolo Villaggio ne Il secondo tragico Fantozzi. Invitati «con un’astuta mossa padronale» al ricevimento della contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare, Fantozzi e Filini vengono aggrediti da un dobermann nero come la notte e tentano invano di ammansirlo chiamandolo per nome: «Provi Fido… Provi Bobi…». «Si chiamava Ivan il Terribile trentaduesimo, discendente di Ivan il Terribile primo, campione di caccia al mugiko nella steppa e fucilato sulla Piazza Rossa durante la Rivoluzione d’Ottobre». Appunto «come nemico del popolo».