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 2018  aprile 25 Mercoledì calendario

Per il lieto fine il coraggio non basta. Il dramma dell’ermafrodita Herculine


Ci sono condizioni che anche oggi non sono facili da vivere, ma che nell’Ottocento bigotto e pudibondo dovevano essere un tormento. Come l’ermafroditismo, che una malattia non è, ma ti spiazza con la sua schizofrenica dicotomia. Un po’ donna e un po’ uomo. Un po’ e un po’. Un’identità a mezzo, difficile da trovare, collocare, gestire. Di più ancora per un ragazzo/a di un secolo e mezzo fa, cresciuto/a tra orfanotrofi e conventi.
Questo destino difficile ha riservato la vita a Herculine Barbin, nata in Francia nel 1838 e morta suicida 30 anni dopo in un misero appartamento parigino. All’ermafrodita Barbin, subito dopo la nascita, venne attribuito il sesso femminile e femmina restò ufficialmente sino alla giovinezza. Ma l’anomalia anatomica non fu l’unica difficoltà con cui dovette misurarsi: quando aveva tre anni, infatti, suo padre morì e qualche anno dopo la madre dovette lasciarlo all’orfanotrofio. «I problemi arrivarono quando Herculine, in piena pubertà, si accorse di essere attratto, sia emotivamente che sessualmente, dalle compagne di scuola e dalle suore. Dalle donne» racconta Olivia Manescalchi, che ha scritto il testo dello spettacolo «Una strana confessione. Memorie di un ermafrodito», stasera al Baretti, versione drammaturgica dell’omonimo volume pubblicato da Michel Foucault e fondato su un memoriale che lo stesso Barbin aveva scritto a scopo terapeutico.La regia è di Maria Grazia Solano, Manescalchi è anche interprete, affiancata da Caterina Gabanella e Alessandro Quattro; colona sonora live di Paolo Cipriano. «Siamo all’epoca – prosegue Manescalchi – in cui questo ermafrodito è ancora femmina, a- almeno per la legge e per la società. Visto il buon profitto negli studi, viene mandata a formarsi in una scuola per diventare insegnante. E s’invaghisce di un’insegnante. Ma solo un anno più tardi troverà, in una collega, Sara, il grande amore della sua vita». Un amore ricambiato e a suo modo felice, ma clandestino per necessità. Per Herculine, che vorrebbe disperatamente trovare un’identità sessuale e sociale certa – e che invece è costretta a tagliarsi barba e peli sulle braccia per rientrare nei canoni che altri le avevano imposto – la gioia di un amore ricambiato non è sufficiente. Cogliendo l’occasione della comparsa di improvvisi dolori, si fa visitare da un medico: le suggerisce di non parlare con nessuno della sua condizione e chiudersi in un convento. Lei non cede e si confida un vescovo. Nuova visita medica e, finalmente, l’anomalia viene rilevata e riconosciuta con tanto di nuovi documenti. «Lei» diventa finalmente «lui» ma non è un lieto fine: Sara decide di non seguirla, sentendo tradita la loro segreta felicità; e poi, quel che mancava a Herculine non era tanto il riconoscimento ufficiale, quanto l’accettazione sociale. Di lei che era, nella sua unicità, Herculine: un po’ maschio e un po’ femmina. «La sua storia ci insegna a rendere onore a qualunque diversità».