la Repubblica, 17 marzo 2018
L’amaca
Dalle rievocazioni del caso Moro si esce con la netta sensazione che quei tempi fossero peggiori di questi. Più violenti, e si sapeva; ma soprattutto più tenebrosi, con una democrazia più fragile, e poteri maligni che la torcevano ai loro scopi.
Dell’orrenda P2, consorteria di nuovi mestatori e di vecchi fascisti, ci si è dimenticati troppo in fretta. Si stava peggio quando si stava peggio.
Alla luce di quelle stragi nere favorite da traditori stipendiati dallo Stato, e di quei macelli di strada spacciati per “strategia rivoluzionaria” dagli sciagurati brigatisti, dovremmo rivedere non poco il nostro giudizio sul presente, politico e non solo, di questo Paese, il cui umore lugubre (compreso il nostro) ha bisogno di rimodellarsi sulla realtà: che è una realtà migliore, e rincivilita. Magari più sfilacciata e incerta, ansiogena per carenza di futuro. Ma provate a chiedervi quale effetto avrebbe avuto, un’elezione capovolgente come quella del 4 di marzo, sull’Italia di allora; e confrontatela con la relativa calma odierna, perfino eccessiva considerata la situazione. Se è il Caos che ci fa paura, se è lo spappolamento della vita civile, basta una fotografia di via Fani o di via Caetani per capire che il Caos, a quei tempi, arrivò a un soffio dalla vittoria. Oggi rischiamo appena di dovere imparare daccapo nomi e cognomi di governanti eletti a suffragio universale. Non è la fine del mondo. Chi ha memoria, deve lagnarsi un po’ meno del presente.