Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  marzo 17 Sabato calendario

Li Ka-shing si ritira, l’ultimo re di Hong Kong mette sul trono il figlio

PECHINO Ha iniziato a lavorare a 12 anni per un commerciante di materie plastiche di Chaozhou, nel Sud della Cina, costretto dalla prematura scomparsa del padre. A 21, scappato a dalla guerra verso Hong Kong, ha fondato la sua azienda di fiori finti, grazie a 6.500 dollari tra risparmi e prestiti dei familiari. Ha smesso ieri a all’alba dei 90, con un patrimonio di 35 miliardi di dollari e un impero da 323 mila dipendenti in 50 Paesi raccolto nella holding CK Hutchison, tra immobiliare, infrastrutture e telecomunicazioni, compreso il 50% di WindTre. Ma Li Ka-shing non ha mai dimenticato da dove veniva. E ieri, nella presentazione dei bilanci diventata passaggio di testimone al figlio maggiore Victor, lo ha confermato ancora una volta: «Sono grato di essere riuscito in tutti questi anni a creare valore per gli azionisti e a servire la società», ha detto, con la voce rotta ma la serenità nel volto, il tycoon che sembrava incapace di invecchiare. «Ringrazio tutti per il loro amore il loro sostegno».
Sarà anche per questo, nella Cina che ormai produce ogni anno più nuovi miliardari degli Stati Uniti, che il “superman” di Hong Kong continua ad apparire diverso. Di affari ne ha fatti davvero tanti, anticipando e poi cavalcando il boom del Dragone e della sua isola speciale. Dai fiori si era messo a produrre giocattoli, i pupazzetti GI Joe che Hasbro vendeva negli Stati Uniti, per poi scommettere i profitti nello sviluppo immobiliare di Hong Kong. Bella presa.
I soldi dell’immobiliare li ha quindi usati per diversificare all’estero, caso più unico che raro tra i magnati locali, comprando porti, società energetiche in Australia e Canada, catene come le farmacie Watsons e compagnie telefoniche in mezzo mondo: 300 acquisizioni in 25 anni, una al mese. In questo terzo millennio, sostenuto dall’amica e partner d’affari di una vita Solina Chau, ha fatto pure in tempo a mettere qualche gettone in belle promesse come Facebook, Skype e Spotify. Ovviamente mantenute. Ma tutto ciò, vivendo sempre nella stessa casa, mentre attorno a lui il metro quadro di Hong Kong schizzava alle stelle, sempre con lo stesso orologio Seiko al polso, niente Rolex. E devolvendo oltre 2 miliardi e mezzo di dollari in progetti benefici.
Ora l’impero passa al 53enne Victor, laureato in Ingegneria a Stanford, finalmente liberato dal ruolo di eterno apprendista. Tra lo scetticismo di molti analisti, che già avvertono come il carisma e il fiuto del padre non siano replicabili.
Chi ha ereditato i geni, dicono, è piuttosto il fratello minore Richard, che ha deciso di lasciare l’ovile di famiglia per fondare Pccw, gruppo dei media e della tecnologia.
«Victor ha lavorato per 33 anni al mio fianco, ho fiducia in lui», ha detto ieri Li Ka-shing, captando lo scetticismo attorno a questo avvicendamento, atteso e rimandato da anni.
Ora si dedicherà alla sua Fondazione, a cui ha già destinato un terzo del patrimonio personale, ma rimarrà comunque come consulente super speciale della società.
Comunque vada finisce un’epoca. Con Li Ka-shing lascia l’ultimo grande “self-made man” della scintillante Hong Kong.
I nuovi ricchi e i nuovi miliardari oggi li produce la Cina continentale, che non a caso sta allungando sempre di più le sue mani sulla città. Ma pure questa tendenza Li l’ha fiutata, spostando il baricentro del suo impero sempre più all’estero.
A costo di tirarsi addosso l’ostilità del Partito e le critiche dei suoi quotidiani, negli ultimi anni il tycoon ha portato la ragione sociale del gruppo alle Cayman e venduto proprietà immobiliari in patria per oltre 20 miliardi di dollari.
L’ultima, non più tardi di novembre, il grattacielo The Center, il quinto più alto di Hong Kong, ceduto a un consorzio di imprenditori locali per la folle cifra di 5,2 miliardi.
Lontano da casa invece Li ha continuato a investire, anche svenandosi per comprare la società energetica australiana Duet, gas e elettricità, orchestrando alla fine del 2016 con i russi di Vimpelcom la fusione tra Wind e 3 in Italia e provando l’assalto, fallito dopo lo stop dell’Antitrust, all’operatore mobile inglese O2. Come se, prima di lasciare, Li abbia voluto segnare una direzione. Che ora tocca al figlio Victor seguire.