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 2018  marzo 17 Sabato calendario

La sacra bionda dei frati trappisti: «Niente business sulla nostra birra»

Bruxelles Ora et labora, certo. Ma pronti a farsi sentire per difendere i propri valori di fronte alla tentazione del profitto. E a farne le spese, almeno in termini di reputazione, è stato un supermercato olandese che ha provato a lucrare sulla birra dei monaci trappisti. E così il monastero di Saint-Sixtus ha attaccato, con maniere garbate ma non meno incisive, la catena Jan Linders, colpevole di avere violato il codice etico dei cistercensi applicando prezzi decisamente poco caritatevoli alle pregiate bottiglie trappiste.

Leggenda vuole che i monaci di Saint- Sixtus, Fiandre orientali, Belgio, abbiano iniziato a produrre la loro birra un paio di secoli fa, intorno al 1830, per pagare la mano d’opera necessaria al completamento della costruzione del monastero. Da allora la loro bionda e la loro bruna di strada ne hanno fatta, tanto che a inizio degli anni Duemila la Saint-Sixtus è stata premiata come miglior birra al mondo e attualmente nel ranking globale è piazzata al secondo posto. Nonostante il successo, i monaci sono rimasti fedeli ai loro principi, la birra viene venduta a 3.75 euro a bottiglia e la produzione resta locale. Saint-Sixtus, infatti, è il produttore più piccolo tra gli 11 trappisti certificati. I cinque monaci che ci lavorano producono circa 4 mila barili l’anno, mentre i confratelli della Chimay, la birra trappista più diffusa al mondo, ne mettono sul mercato più di centomila. I proventi della Saint- Sixtus devono essere giusto sufficienti al sostentamento dei monaci e l’eventuale eccedente viene usato per finanziare qualche opera di carità nei dintorni. Nulla di più, nessun guadagno.
Per questo la Saint-Sixtus non è commercializzata in alcun negozio, venduta direttamente al monastero previo appuntamento telefonico preso con almeno due mesi d’anticipo. Ma non tutti quelli che chiamano riescono ad accaparrarsi la preziosa birra: i monaci ricevono solo fino a 85 richieste l’ora. «I nostri clienti devono avere pazienza e molta fortuna», amano ripetere i monaci. Chi riesce a ottenere l’appuntamento può acquistare al massimo 24 bottiglie, deve registrare documenti e targa dell’auto al monastero e non potrà comprare altra birra per almeno 60 giorni.
Il sito del monastero ricorda esplicitamente che «ogni acquirente si impegna a non rivendere la birra». Già, perché in passato la popolarità della bionda ha dato vita a un vero e proprio contrabbando sul mercato secondario con prezzi moltiplicati fino a 10 volte. Ma nelle scorse settimane i monaci hanno scoperto che il supermercato olandese Jan Linders ha messo in vendita ben 7mila bottiglie senza autorizzazione. Oltretutto a 9.95 euro a bottiglia. Di fronte ai supermercati si sono create code, tanto che ogni acquirente ha potuto comprare ben due bottiglie a testa scegliendo tra la bionda e la bruna prodotta dai monaci belgi. Naturalmente la scorta è andata a ruba in poche ore.
«Abbiamo appreso la notizia dai giornali – ha spiegato il portavoce del monastero – e siamo davvero sotto shock, quanto hanno fatto e il prezzo di vendita è contrario ai nostri standard etici e ai valori della nostra comunità». Oltretutto i monaci non hanno capito come la catena olandese abbia potuto mettere le mani su migliaia di bottiglie senza destare sospetti. La risposta è candidamente arrivata da Gineke Wilms, direttore del marketing di Jan Linders, in un goffo tentativo di scusarsi. «La birra è stata acquistata ricomprandola da un certo numero di clienti del monastero, per questo il prezzo di rivendita era così alto. Abbiamo agito con le migliori intenzioni». Che però sono sfuggite ai monaci, che hanno intimato: «Che non succeda mai più». La storia ha fatto il giro dei media Olandesi e belgi e la reprimenda dei monaci sta costando alla catena olandese – che ha praticamente ammesso di avere raggirato i trappisti – più del guadagno su qualche migliaio di birre.