Corriere della Sera, 17 marzo 2018
Rapimento Moro: tragedia ricostruita con un’inchiesta vecchio stile
Anche Ezio Mauro si è occupato del rapimento di Aldo Moro con un film documentario diretto da Simona Ercolani e Cristian di Mattia, scritto con Tommaso Vecchio, Concetto Vecchio e Claudio Pisano, Il condannato, cronaca di un sequestro (Rai3, venerdì, ore 21.15).
Mauro racconta gli eventi di quei mesi ripercorrendo la topografia di questa tragedia: da via Mario Fani, luogo simbolo del rapimento, fino al covo delle Brigate Rosse di via Camillo Montalcini, sede della «prigione del popolo» il luogo dove fu segregato l’onorevole Moro nei 55 giorni. La sua presunta colpa? Voler legittimare il Pci nell’area democratica. L’inchiesta vecchio stile (ricostruzione, interviste, reperti e testimonianze indite) è qui sorretta da una tensione che ci restituisce il senso della tragedia, una delle pagine più dolorose e opache della storia italiana. Colpiscono soprattutto le parole del figlio Giovanni, che ancora chiede giustizia: «La verità è l’unica forma possibile di giustizia».
A non convincere è la lunga intervista ad Adriana Faranda, in questi giorni piccola star mediatica: l’impressione è che ormai reciti una parte. Quarant’anni fa, il sequestro Moro è stato anche un colpo per i media: l’ultima volta in cui la radio è stata grande protagonista, ancora al centro della scena mediatica; la tv impreparata ad affrontare le emergenze; le immagini del ritrovamento del cadavere nel bagagliaio della Renault 4 riprese da Gbr, una piccola emittente romana.
Il Corriere della Sera, a proposito di lotta al terrorismo, incaricò Ugo Stille di intervistare il famoso massmediologo Marshall McLuhan. La sua risposta fece scalpore: «Bisogna staccare la spina». Voleva dire: bisogna togliere la comunicazione e cioè non diffondere i messaggi terroristici, bisogna fare silenzio sul terrorismo, è l’unico modo per spegnerlo. Più un pio desiderio che una fredda analisi.