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 2018  marzo 17 Sabato calendario

Intervista a Dario Argento: Dagli Uffizi ai resort di lusso. La paura è sempre in agguato

Appena nato, sua madre diceva a tutti che avrebbe fatto lo scrittore. La profezia in un certo senso si avvera solo ora, 77 anni dopo: Argento ha appena pubblicato con Mondadori i sei racconti fantastici e piuttosto spaventosi raccolti in Horror.

DopoPaura(Einaudi, 2014) che era una autobiografia, è scrittore al 100%.
«Da giovane facevo il giornalista, poi lo sceneggiatore: pensavo fosse la mia strada, ma mi è accaduto di fare il regista e da lì non si torna indietro».
Da sceneggiatore, partecipò a quel capolavoro che èC’era una volta il West.
«Prima ne ho scritti altri, d’amore, di guerra, western, di tutto. Erano gli Anni 60, c’era molto lavoro, c’erano produttori, distributori. Adesso in Italia si fanno pochi film e di qualità modesta, per non dire mediocre. Siamo diventati quelli che fanno le commediole, storie di famiglie che si riuniscono perché è morto uno, perché si deve sposare la figlia».
Come arrivò all’horror?
«L’horror stava dentro di me, ho capito subito che era la mia strada. Mi ci sentivo comodo, mi divertiva, mi piaceva immaginare quei mostri che poi erano i mostri della mia coscienza».
Prima d’ora però non aveva mai scritto racconti horror. Come è andata?
«Sono tutti degli ultimi due anni. Me l’ha proposto l’editore, ho detto subito sì. Sono sei, ambientati in luoghi che ho frequentato e che mi hanno ispirato storie inquietanti».
Il luogo del primo racconto è la Galleria degli Uffizi. Sorprendente.
«Ma no. Pensi alla Crocifissione di Grünewald, a Colmar, con quel Cristo massacrato, che sprizza sangue. Horror puro. Mi diceva il direttore degli Uffizi che di fronte alla Medusa del Caravaggio spesso accade che le persone svengano, si sentano male o vengano prese da accessi di pianto. È la sindrome di Stendhal, accade in tutti i musei».
L’arte è una costante anche nei suoi film. Sua madre fotografa, Elda Luxardo, l’ha influenzata?
«Moltissimo, per le immagini. Come racconto in Paura, da bambino passavo le giornate nel suo studio, in camerino. Ho ancora nel naso l’odore del make up di allora, dolciastro, pesante. E negli occhi le donne bellissime che lei fotografava: si spogliavano davanti a me, come non esistessi. Invece ero turbato e quel turbamento si trova nei film e in alcuni di questi racconti».
Ha detto che le paure legate all’attualità, come il terrorismo, non la interessano. InHorror, però, c’è il racconto dell’attacco terroristico a un resort in Oriente.
«È Tioman, un’isola nel Golfo di Malacca. Ci andai con mia figlia Fiore, in vacanza. I terroristi non li ho visti, ma sarebbero potuti arrivare. Vidi bene i varani, invece, gli altri protagonisti della storia, quei lucertoloni lunghissimi, con le bocche giganti. C’era un resort lussuoso e kitsch, noi stavamo nell’altro, quello dei ragazzi, con i bungalow sulle palafitte».
Quel racconto è un thriller politico: i due resort contrapposti e i terroristi che in fin dei conti sono mercenari…
«Spesso è così. Sono eterodiretti da gente che più che alla religione pensa al denaro, alle banche, ai finanziatori».
Un racconto anticapitalista comeC’era una volta il West.
«Che è anticapitalista, ma anche il suo contrario. Come i film di John Carpenter, che sembra di sinistra ma poi è di destra, come Howard Hawks, John Ford, è per il mito americano, sta con i rednecks. Così era Sergio Leone, politicamente un po’ ambiguo».
La notte dei mortiviventiinvece è di sinistra?
«Cattolico e di sinistra, nettamente di sinistra. Come il suo regista, George Romero. Infatti eravamo molto legati, la sua morte è stato un grande dolore per me. Beveva troppo e questo l’ha massacrato».
Lei è cattolico di formazione: ora si definisce credente?
«Sono andato a scuola dagli Scolopi, poi mi sono allontanato dalla fede, un po’ perché lavoravo in un giornale comunista, Paese sera, un po’ perché tutta la mia famiglia era diventata atea. Tranne mia nonna, molto credente: io da bambino andavo al catechismo, pregavo, credevo. Cantavo in chiesa. Sono sparito per trent’anni e più, fino a che non è morto mio padre. In quel momento ho cominciato a sentire una specie di attrazione. E ho ritrovato la fede».
Il rito cattolico l’ha influenzata come regista?
«Sì. La Messa è uno spettacolo, una rappresentazione misteriosa e anche crudele. C’è il sangue, c’è il corpo».
Progetti di film nuovi?
«Avevo l’idea di un film con Iggy Pop ma è impossibile per questioni di soldi. Ora penso solo al libro. Mi ha dato molte soddisfazioni scriverlo, rileggerlo, vedere le reazioni di chi lo legge. Ho raccontato sei luoghi della mia vita, tutti fantasticati. Mi sono molto divertito».
Possono diventare film?
«No, al massimo telefilm. È un tipo di scrittura totalmente diverso. Anche più bello, per certi versi. Lascia al lettore la libertà di inventarsi le facce, i luoghi, fantasticare su tutto. I film ti inchiodano alle immagini».
Come si sente dopo le elezioni?
«Non mi va di parlarne. Guillermo Del Toro mi ha mandato un messaggio pochi giorni fa: che brutta cosa che vi è successa in Italia!».
Del Toro inLa forma dell’acquaomaggia anche il suo cinema.
«Siamo molto amici, ma non è per questo che dico che il film è bellissimo, ha dentro l’horror, il maccartismo, il razzismo, i protagonisti sono un gay, una ragazza, una creatura… i diversi. Ci ha messo i temi che oggi ci ossessionano».
Gli americani oggi spendono miliardi per i film di supereroi e poi premianoLa forma dell’acqua.
«Ma sono brutti i film di supereroi! Sono bruttissimi, c…te tremende».
Ora rifarannoSuspiria…
«Non lo so, chi l’ha visto? Non so che ha fatto Luca Guadagnino, so che è un mio estimatore, che ama Suspiria fin da ragazzino. Però non ho visto nulla, non so neanche chi c’è nel cast. È un omaggio, dicono: non ce n’era bisogno, davvero».
Come vive la battaglia che sta conducendo sua figlia Asia?
«È una battaglia politica, umana, una battaglia giusta. Le porta via tempo, energie, intelligenza. Le porta via troppo, forse. Le porta via tutto, la impegna giorno e notte. Ha trovato una strada, non so dove la porterà».