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 2018  marzo 17 Sabato calendario

Darren Aronofsky, autore della serie fenomeno di National Geographic. Due anni di riprese, otto astronauti coinvolti

Chris Hadfield, astronauta per 21 anni, primo canadese a camminare nello spazio, sostiene che se tutti avessimo la possibilità di guardare la Terra come fanno i cosmonauti, il nostro rispetto e forse anche la nostra preoccupazione per le sorti del pianeta cambierebbe. «Vedere come in una sola generazione il mare di Aral si sia prosciugato o quanto si sia ridotta la foresta fluviale in Amazzonia è un’esperienza potente – racconta -. Allo stesso tempo solo dallo spazio è possibile vedere l’età della Terra e quanto eterna e resiliente essa sia, in grado di ringiovanire da sola ciclicamente».
One Strange Rock, ambizioso programma di National Geographic in onda dal 27 marzo ogni martedì alle 20.55, ha questo scopo: farci scoprire con gli occhi di chi l’ha vista da lontano le meraviglie della Terra. Raccontata da Will Smith che fa da voce narrante, la serie vanta numeri da grande produzione: due anni di riprese, sei continenti, otto astronauti coinvolti, sei troupe in giro per il mondo, 150 location differenti, dalle caverne Lechuguilla, in New Messico, che raggiungono una profondità di 489 metri alla Stazione Spaziale Internazionale a più di 400 chilometri dalla Terra. Su questa, l’astronauta dell’ESA Paolo Nespoli ha realizzato immagini esclusive guidato dai consigli del regista Darren Aronofsky, produttore esecutivo di questo progetto ambizioso che gli è costato tre anni di lavoro.
«One Strange Rock è una festa per gli occhi, un diario di viaggio mondiale, una lezione di storia naturale – racconta il regista -. Non è solo un film sugli animali o sulle culture, o sulla scienza, ma è un racconto che unisce tutti questi aspetti e diventa una storia emotiva. La svolta è arrivata quando siamo incappati in questa idea di lavorare con gli astronauti. Per noi che la abitiamo è facile dimenticare e dare per scontato che incredibile e meravigliosa macchina sia la Terra. Quindi ci siamo detti: ribaltiamo la prospettiva. Interpelliamo quei pochi che sono stati lassù, chiediamo a loro di raccontare che cosa hanno visto».
Gli otto astronauti coinvolti sono tutti delle star. Nicole Stott è stata la prima a dipingere nello spazio. Leland Melvin è stato il primo giocatore della National Football League ad essere partito per lo spazio. Peggy Whiston è stata la prima donna al comando della Stazione Spaziale Internazionale: tornata lo scorso settembre dalla sua ultima missione, vanta il record di permanenza nello spazio con 665 giorni. Jeff Hoffman ha collezionato 21.5 milioni di miglia nello spazio. Chris Hadfield vanta 165 giorni nell’arco di tre missioni. Mae Jemisomn è stata la prima donna afroamericana. Jerry Linenger è sopravvissuto al più grave caso di incendio a bordo di una navicella spaziale ed ha trascorso 5 mesi sulla stazione spaziale russa Mir. Mike Massimino è stato il primo astronauta a twittare dallo spazio. A ciascuno di loro è legato un episodio (a volte due) che ha a che vedere con il loro specifico training e con le loro personali intuizioni su come e perché le creature della Terra respirano e pensano, sulla violenza che ha reso la Terra abitabile e su come la Terra si protegge dal sole, su come prenda e dia la vita.
«Abbiamo deciso di celebrare la meraviglia e far vedere che processo perfetto sia la creazione della vita, quanto sia difficile, strano, miracoloso. E quanto sia a rischio», prosegue Aronofsky. Il suo ultimo film, il controverso horror Mother!, racconta proprio di questo, seppur in modo metaforico. «Ho iniziato i due progetti quasi contemporaneamente, Mother! è una storia che serve da ammonimento. One Strange Rock è una celebrazione. La protagonista in entrambi i casi è la Terra, solo che in un caso è Jennifer Lawrence. Viviamo un’epoca per cui mi risulta difficile non pensare ai problemi del pianeta, anzi è la cosa a cui penso di più in assoluto. Penso che ci stiamo avvicinando all’orlo del dirupo, non so quanto siamo vicini a finirci dentro, ma sento che questa è una conversazione che dobbiamo avere tutti i giorni. Dai diritti delle donne alla povertà passando per l’assistenza sanitaria, tutto alla fine ha senso solo se si affronta per primo il problema ambientale».