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 2018  marzo 17 Sabato calendario

Gli italiani preferiscono la 44

Altro che «prigione» come simboleggia nel gioco della Tombola e nella Smorfia napoletana: «44» è il numero della taglia prediletta dagli italiani nel cammino verso «Le forme della libertà» femminile. Il dato emerge dall’omonima ricerca condotta da GFK per il marchio Fiorella Rubino. Lo studio su un campione di 1000 donne e 200 uomini è stato presentato a Milano nella sede del gruppo Miroglio di Alba.
Nella hit delle misure, al secondo posto si classifica la 46 e al terzo la 42/40.
Diamo i numeri
1000 donne, 200 uomini e il corpo femminile. Per la par condicio, forse sarebbe stato interessante intervistare lo stesso numero dei rappresentanti dei sessi. Ma l’obiettivo dello studio commentato dal sociologo Francesco Morace, presidente del Concept Future Lab, era soprattutto mettere a fuoco il rapporto di «lei» col proprio corpo e la moda. Dai numeri risulta che sopravvivono seppur in via di diminuzione, stereotipi di «forma» che alimentano sensi d’inadeguatezza.
La causa principale dell’equazione «magrezza uguale bellezza» (e dire che le nonne dicevano «grassezza fa bellezza»), sono i media e una certa moda che si ostina a non guardare la strada. Dove per contro e paradossalmente, gli short in estate e le pantacalze d’inverno hanno tolto ogni argine, facendo straripare le carni.
Gli uomini hanno meno pregiudizi degli stilisti: il 70% di questi uscirebbe volentieri a cena con una taglia 44, il 67% la sposerebbe e il 66% ci passerebbe una notte di sesso.
Nel fashion però, c’è ancora un po’ di strada da percorre, tanto le donne lamentano una carenza di offerta per le curvy.
Shape diversity
Per questo Fiorella Rubino ha intrapreso un percorso di studi e di ricerche del quale questo convegno milanese è solo il primo passo. «La bellezza- dice Laura Campanello filosofa del vivere meglio – nasce e dimora all’interno di ciascuna donna: la forma esteriore ne è solo la rappresentazione; femmine sorridenti, soddisfatte e in armonia tra loro e gli altri. Obiettivo finale, l’affermazione di quella che Morace definisce la «shape diversity»: cioè la multiformità delle forme, che in un’epoca in cui spopola il «no gender», non è una cosa così astrusa.