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 2018  marzo 18 Domenica calendario

Misfatti della Banca Romana. La colta ricostruzione, attraverso fonti letterarie, di quanto avvenne nella Roma di fine ’800

Lo scandalo della Banca romana riunisce i frammenti di un mondo che si ridimensionò senza mai davvero crollare alla fine del XIX secolo. Era un mondo, o un sottomondo, che prosperava all’ombra delle improvvise e ricche conseguenze della globalizzazione accelerata della seconda metà di quel secolo: il risultato di rivolgimenti che nel caso italiano incrociano la fondazione della Nazione. Se molto si conosce delle conseguenze – e delle mancate conseguenze – che uno scandalo di proporzioni gigantesche come quello della Romana provocò negli assetti politico-istituzionali del Regno d’Italia, molto meno noti sono i suoi riflessi nella letteratura e, quindi, nella cultura popolare. Questo quadro è al centro di Romanzo di uno scandalo, nel quale sono ricostruiti attraverso la saggistica storico-letteraria il paesaggio intellettuale di un Paese in vigorosa trasformazione e il contesto politico ed economico nel quale lo scandalo cadde, nonché gli esasperanti tatticismi con i quali fu affrontato. Di più, il libro colloca quell’episodio in una prospettiva comparata quanto mai opportuna per comprendere la trasformazione del sistema politico-istituzionale del tardo imperialismo, stabilendo dei nessi fra un triangolo di scandali di cui l’Affaire Dreyfus costituisce la cuspide. Introdurre le vicende della Romana con i quasi contestuali “fatti del Panama” è utile per mostrare come una vicenda di malversazioni possa esasperarsi quando al centro del quadro non si colloca la pur corrotta Troisième République, ma l’Italia di Crispi, di Giolitti e dei Tanlongo, che per dirla con Pareto «conosce la moralità solo di nome». 
È la Roma postunitaria, capitale necessaria ma inventata, che costituisce la quinta dello scandalo. La Rome ambigua descritta da Zola con straordinaria efficacia rappresentativa. Una città che nel giro dei venti anni dopo il 1870 si affolla di funzionari arrivati per «servire il Regno» e presto rigurgita di deputati collusi e ministri ambigui, pennivendoli sciacalli e sinistri bancarottieri, con un Re che si avventura in speculazioni per interposta persona. 
Il sistema del credito – organizzato dal 1874 attorno a sei Istituti di emissione il cui riordinamento è continuamente rinviato – finanzia l’espansione del territorio urbano regolato dal piano del 1883 ma manomesso a più riprese per favorire le mire dei costruttori, dietro i quali si stagliano ombre confuse e macchiettistiche. Interi quartieri sono al centro di piani freneticamente sovvertiti per mantenere la pressione di una bolla speculativa che conosce il suo picco intorno alla metà dell’ottavo decennio del secolo. La frenata del boom provoca le prime crepe, oltre che ingenti perdite agli speculatori della prima ora descritti ne L’eredità Ferramonti di Gaetano Chelli. Per proteggere le fortune cresciute con rapidità fulminante, il crepuscolare governo Crispi incoraggia gli Istituti di emissione al salvataggio delle banche coinvolte nelle speculazioni. Il risultato è un’inondazione di circolante che eccede spropositatamente quanto previsto dalla legge e porta le banche di emissione – prima fra tutte la Romana – sull’orlo del collasso. 
I passi successivi sono un susseguirsi di scosse politiche, j’accuse, carte trafugate, colpi apoplettici, travestimenti picareschi, corrispondenze segrete, processi farseschi dagli esiti incredibili. Al deflagrare dello scandalo, il pericolante edificio politico si sfalda sotto il peso di attacchi incrociati che mettono in discussione la legittimità del da sempre contestato governo Giolitti. L’atmosfera di quegli anni è trasfusa in una serie di non fiction o autofiction storicamente determinati: racconti eterogenei che vanno dai dimenticati L’Onorevole Paolo Lefonte di Enrico Castelnuovo alla Terza Roma di Cesare Catelli, da Le ostriche di Carlo Del Balzo ai Corsari della breccia di Filandro Colacito. Storie che si rappresentano in atmosfera sulfurea assai distante dal languore fin de siècle, e che rendono plasticamente i risultati di un’unificazione avvenuta per aggiunzioni, disegnando il teatro di una commedia umana alla quale non si sottraggono gli onesti travet, signore molto amate, piccolo borghesi arrivisti e privi di scrupoli. 
L’universo descritto da Clotilde Bertoni richiama ai costumi del potere odierno, e illustra i rapporti di forza fra le élite e il sistema che dovrebbe limitarne gli abusi. Inclinare su facili parallelismi non è tuttavia il centro delle argomentazioni dell’autrice, la quale domina con sicurezza un debordante repertorio di romanzi storici, feuilleton e romanzi-reportage che non riescono a superare una realtà grottesca. Ciò che affiora dalla narrazione è, invece, la descrizione molecolare di come una storia ambivalente sia stata capace di contestare gli assetti del potere costituito. I veri protagonisti delle descrizioni intelligentemente montate dal saggio sono gli attori della modernità: quel mondo assomiglia al nostro perché è il Parlamento il luogo in cui si consumano le tappe dello scandalo, è la stampa che mette in discussione il civismo dell’establishment, è la nascente opinione pubblica che si interroga sulle bulimiche smanie della classe politica, sono intellettuali come Pantaleoni e Colajanni che denunciano la spregiudicatezza dei raggiri. Eppure lo sfondo è assai diverso da quello attuale, e difficilmente può essere risolto stabilendo analogie meccaniche. Di quell’universo Romanzo di uno scandalo analizza benissimo la varietà: i romanzi si incaricano di tenere viva la memoria di un caso che presto verrà inghiottito dall’oblio. Questa ebollizione, che pure poco dà conto degli aspetti finanziari dello scandalo, stride con l’esiguità di analisi politico-sociali contemporanee alla Romana, la cui presenza presto evapora dalle pagine dei giornali. 
La messa in stato d’accusa di due generazioni di patrioti illustri e delle loro camaleontiche trasformazioni spetta, dunque, alla letteratura, che, sebbene non arrivi a essere controcultura, rappresenta i tic equilibristi e codardi e il morboso affarismo delle classi dirigenti, e i sogni di una borghesia nuova di zecca. Così, anche nei successivi echi di quei fatti all’interno del pirandelliano I vecchi e i giovani si ravvisano nettamente i tratti di un regime che riuniva sotto la stessa etichetta l’ambizione ad allinearsi alla modernità europea e la degradata visione di un sottomondo clandestino e rapace.