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 2018  marzo 17 Sabato calendario

L’onestà del turpiloquio secondo Vittorio Sgarbi

Da tempo aspettavo di poter dire il mio pensiero su un uomo insignificante, e anche dannoso, come Beppe Severgnini. Oggi, insolente e scostumato, risponde a tale Guido Gonzato, che mi chiama «isterico maleducato», e chiede «per quale perverso motivo questo signore (io) viene invitato a parlare in televisione: ho i capelli grigi e credo che la televisione dovrebbe contribuire ad educare».
Al censore risponderò: ho fatto in televisione numerose lezioni d’arte che hanno contribuito a indirizzare molti giovani alla conoscenza del nostro patrimonio, e hanno ottenuto, tra i tanti, l’elogio di Franca Ciampi che rimase folgorata dalla lezione sul «Compianto di Cristo morto» di Niccolò dell’Arca. Si vede che Gonzato era distratto. Come Severgnini, che gli risponde: «Sgarbi verrà ricordato come un signore che dice parolacce in televisione». Dovrò spiegare a questo ignorante che le parolacce, da Joyce, a Céline, a Pasolini, a Carmelo Bene, sono patrimonio della letteratura contemporanea e indicano, come hanno osservato alcuni psicologi recentemente, una tendenza all’onestà di chi le pronuncia: «Volgarità fa rima con sincerità». Sul Corriere del 23 gennaio 2017 si legge che «Il turpiloquio ha una carica simbolica che rende più forti le parole». Enrico Franceschini su Repubblica scrive: «La scienza sdogana le parolacce: sono la lingua della vita un mezzo per resistere al dolore e all’incipiente demenza senile». Quella che rischia di colpire chi non le dice.