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 2018  marzo 16 Venerdì calendario

Ritz, va all’asta lo splendore della Belle Époque

A Parigi va all’asta uno dei simboli del lusso globale: l’hotel Ritz di place Vendôme. L’albergo, dopo la riapertura del 2016 alla fine di un rinnovo totale durato quattro anni, ha deciso di mandare all’incanto la sua storia formidabile: i divani della suite imperiale insieme ai mini bar con lo stemma della casa. Anche qui l’evocazione sorpassa il secolo: dalle memorie della Belle Epoque alle ultime notti di Dodi al Fayed e della principessa Diana. Nell’asta, organizzata da Artcurial dal 17 al 21 aprile (alcuni oggetti saranno esposti a Milano dal 20 al 25 marzo) ci saranno i letti in lucido ottone sui quali Ernest Hemingway si augurava di sprofondare pure in paradiso, gli sgabelli del bar seduto sui quali Francis Scott Fitzgerald – certamente ubriaco – mangiò una scatola di orchidee, petalo per petalo: omaggio a una bella donna ammirata a un tavolo – e rispedite al mittente. Nello stesso bar, Hemingway ritrovò gli appunti che pensava di aver perso negli Anni Venti; e che gli permisero di comporre le bozze di Fiesta Mobile, pubblicato postumo. Nel ristorante ci fu l’unico incontro tra Marcel Proust e James Joyce, una gelida conversazione di monosillabi, ricordò poi l’autore dell’Ulisse.
Fragole fuori stagione
Non ci sono pezzi dai costi stratosferici, le valutazioni dei 3500 lotti vanno da qualche centinaio fino a sfiorare gli ottomila euro per i mobili in stile Luigi XVI. Sono tutte riproduzioni, infatti, incluse le copie dei capolavori che erano appesi nei corridoi. L’aura potrebbe far lievitare le puntate. Il Ritz era l’albergo parigino dei Rockefeller, dei Woolwoorth, dei Vanderbilt, quelle che Fitzgerald chiamava le famiglie ducali americane. Per loro i camerieri rimediavano fragole fuori stagione da Fouchon e il concierge faceva recapitare pezzi di ricambio per Rolls Royce a clienti affezionati in panne all’altro capo della Francia.
Aspettando quella del Ritz, da venerdì a Parigi sarà protagonista un’altra asta simbolo del lusso internazionale, gli highlights della collezione di David e Peggy Rockefeller che nella sua totalità sarà battuta nell’appuntamento rutilante, da Christie’s a New York, dal 7 all’11 maggio. David Rockefeller, nato nel 1915, era un superstite della Gilded Age, l’equivalente americano della Belle Epoque, anche se posteriore di alcuni anni. Suo nonno era John D. Rockefeller, fondatore della Standard Oil, considerato l’uomo più ricco di tutti i tempi. L’antipasto prevede Fillette au corbeille fleuri, dipinto da Picasso nel 1905, un quadro appartenuto alla straordinaria collezione di Gertrude Stein che lei non amava ma teneva appeso sopra il tavolo da pranzo dell’appartamento in rue de Fleurus, per dominare i salons del sabato in cui l’avanguardia si mescolava ai curiosi della mondanità parigina. La tela ha una stima «prudente», tra gli 80 e i 100 milioni di euro. Un piccolo assaggio del lifestyle Rockefeller, insieme a un’odalisca di Matisse che sogna tra le magnolie, un’onda da tsunami di Gauguin su una spiaggia rossa, un servizio di porcellana che prima dei Rockefeller è passato sulla tavola di Napoleone Bonaparte e altri oggetti d’arte, lusso e raffinatezza estrema che arredavano le molte case della coppia, dalla villa di St. Bart alla fattoria di Hudson Pines.
Luci e ombre
Lo splendore del lusso non caccia tutte le ombre però. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la suite della leggerissima Coco Chanel al Ritz era teatro dei suoi amori con un ufficiale tedesco. Coco ai tedeschi passava anche informazioni. In un’altra suite Hermann Goering stilava l’elenco delle opere d’arte da prelevare, spesso dalle collezioni di famiglie ebree. L’albergo, di proprietà svizzera, godeva di una ambigua forma di neutralità. Il solito Hemingway, corrispondente di guerra, alla testa di un drappello di soldati americani arrivò comunque a «liberare» il suo bar nel 1944, battendo sul tempo il resto dell’esercito alleato.
Il lusso rinnovato del nuovo Ritz è elegante ma più freddo. Come se avesse perso la storia. La famiglia Rockefeller conta 250 membri. La grande ricchezza è frammentata. Molti di loro hanno disinvestito dalle compagnie petrolifere, il business originale della famiglia, considerato poco etico. Altri magnati, da Bill Gates a Warren Buffett, rinnovano con le loro fondazioni la tradizione della beneficenza. Che oggi come allora fa rima con influenza. Ma non si rinnova il mito, forse perché i tempi sono più opachi. Perfino i capricci sono dettati dal marketing. Le aste dei Rockefeller e del Ritz sono l’ultimo riflesso di un’epoca lontana, eccessiva, dorata e tenebrosa.