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 2018  marzo 16 Venerdì calendario

Pd e Berlusconi, lo sconquasso del centro

Un grande classico, la riforma della legge elettorale, ha fatto il suo reingresso sul palcoscenico romano.Beninteso, la riforma “deve essere fatta in fretta, in poche settimane”, così da consentire un immediato ritorno alle urne. E deve essere semplicissima nel suo meccanismo: si lascia il Rosatellum così com’è, salvo che per un premio di maggioranza assegnato alla coalizione vincente. È sempre il capo della Lega a esporre il suo piano, rivolgendosi ai Cinque Stelle rivali.
Ora, lasciando per un attimo sullo sfondo la questione del governo, ci sono tutte le premesse per ingarbugliare la matassa della legislatura appena cominciata.
È chiaro infatti che il premio alla coalizione vincente costituisce un abito su misura per il triangolo Lega-Forza Italia-Fratelli d’Italia. Non solo: è addirittura il meglio che Salvini possa augurarsi, volendo completare il progetto di sottomettere l’intero centrodestra alla sua “leadership”.
Viceversa il M5S, che non ha intenzione di coalizzarsi con qualcuno, deve correre da solo per ottenere il premio che la Lega può far suo dividendo lo sforzo con quel che resta di Forza Italia e con la pattuglia di Giorgia Meloni. Per cui, ad esempio, il 4 marzo Di Maio sarebbe stato sconfitto con il 32% laddove Salvini avrebbe vinto con il 17 (vanno aggiunti il 14 di Berlusconi e il 4,5 di FdI). Posta in questi termini, è difficile, per non dire impossibile, che l’operazione riesca e soprattutto che si realizzi secondo lo stile cesarista: veni, vidi, vici.
Quel che tuttavia va notato è che per la prima volta nella storia d’Italia e forse d’Europa, il tema della riforma elettorale è nelle mani di forze che provengono dall’anti-politica e come tali sono entrate sulla scena. Forze che hanno usato toni radicali per opporsi all’establishment, benché oggi li abbiano già parecchio annacquati, almeno nella versione Di Maio/Cinque Stelle (Salvini è in apparenza più intransigente). Le leggi elettorali vengono fatte di solito per “tagliare” le ali estreme e obbligare i partiti intermedi a convergere verso il centro. Per la prima volta avremmo invece una riforma che premia chi vuole radicalizzare il confronto, lasciando al centro un buco dove si aggirano persone smarrite e in cerca di ruolo.
È chiaro che il fenomeno della scomparsa del centro – al quale Angelo Panebianco ha appena dedicato un’analisi sul Corriere – è stato accelerato dal fallimento del “partito di Renzi”, cioè il Pd nella sua ultima versione. Tuttavia oggi il vuoto si fa sentire. Esiste un modo per porvi rimedio? A breve, non sembra proprio.
Per riassorbire le spinte centrifughe, Dario Franceschini ha proposto l’avvio di una “legislatura costituente”, ma pochi ritengono che ci siano le condizioni.
E la domanda è: per quanto tempo il Pd riuscirà a mantenersi unito, se viene stritolato dai due interpreti del nuovo bipolarismo? Probabilmente non a lungo. È solo un’ipotesi, ma tutt’altro che campata per aria. Anche perché all’affanno del Pd fa riscontro l’analogo malessere della berlusconiana Forza Italia. Berlusconi sta provando a controllare Salvini, ma se non ci riesce è improbabile che il partito da lui fondato subisca l’opa ostile del leghista. In quel momento sarà opportuno controllare la fisionomia della legge elettorale in vigore. Il modello maggioritario che piace a Salvini e Di Maio renderebbe poco utile la nascita di una forza intermedia che si richiama ai principi liberali. Altrimenti, a Rosatellum invariato, tutto è possibile. Compreso uno sconquasso della scena politica.