la Repubblica, 16 marzo 2018
L’amaca
In un editoriale sul Corriere Paolo Mieli descrive «l’incredibile corsa per balzare sul carro dei 5 Stelle».
Detto che è molto italiano ridurre la politica a puro calcolo opportunistico (non credo, per dirne uno, che Massimo Cacciari ambisca a farsi benvolere da Beppe Grillo), va aggiunto che l’analisi di Mieli si fonda su un’omissione decisiva.
Questa: praticamente tutti i nomi del lungo elenco di favorevoli a una trattativa tra 5 Stelle e sinistra non lo sono, come lui scrive, «da poche frazioni di secondo dopo il voto». Lo sono da cinque anni, tondi tondi. Ovvero da quando, nel 2013, l’Italia divenne tripolare, e fu fisiologico provare a immaginare nuovi scenari.
Un paesaggio inedito suggeriva uno sguardo inedito. Vinse lo sguardo vecchio (per bene, stimabile, ma vecchio) del notabilato repubblicano, che in modo perfettamente costituzionale, ma politicamente perdente, legò i destini del governo a soluzioni “interne”, diciamo così, rimandando il confronto con la cosiddetta antipolitica, nel frattempo politicamente operosissima e oggi vincitrice.
La discussione è appassionante; proprio per questo pretende rispetto reciproco. Chi, a sinistra, è ostile a ogni trattativa, offre controindicazioni solide e rispettabili. Chi è favorevole ritiene i vantaggi superiori ai rischi. Cinque anni fa fui il primo firmatario di un appello pro-trattative che raccolse, su Repubblica. it, centodiecimila firme.
Ma già sapevo in partenza che non sarei salito su alcun carro, trovandomi benissimo sul mio solito carretto.