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 2018  marzo 16 Venerdì calendario

Il paese dei balocchi è caduto nella Rete

ROMA La nuova vetrina dove i bambini possono lasciare gli occhi e accarezzare i desideri fino a Natale è a portata di schermo ogni giorno e ogni minuto, via Internet.
Quella tradizionale, invece, finisce sempre più spesso dietro una saracinesca abbassata.
Mentre il gigante invincibile Toys “R” Us chiude i battenti negli Stati Uniti, colpendo così 33 mila dipendenti, anche in Italia salta agli occhi la sparizione silenziosa di centinaia di rivendite di giocattoli. Specie nei centri storici, dove – dati 2017 di Confcommercio – mancano all’appello rispetto a un anno prima il 20,7% tra librerie e negozi di giochi.Poco da sorprendersi, se crescono gli affitti e calano gli affari. Amazon, eBay e le loro sorelle – che hanno già sulla coscienza la caduta di Toys “R” Us- vendono ormai il 15% del totale dei giochi in Italia, anche grazie a politiche di sconto inarrivabili. E con una crescita che pare inarrestabile: solo nell’ultimo anno l’e-commerce di giocattoli da noi è cresciuto del 24%; le formule che prevedono il click e poi il ritiro in un negozio fisico scendono invece del 3%: più comodo aspettare il fattorino che porterà le costruzioni o la nuova bambola a casa. Intanto le famiglie italiane tornano a comprare, a singhiozzo. L’anno scorso il valore delle vendite è stato in calo, anche se impercettibile: -0,2%. Se gli americani azzannano il vecchio giocattolaio, ecco i cinesi arrivargli in soccorso. Nel 2017 la sola Lombardia ha comprato giochi sul mercato asiatico per 77,1 milioni di euro. Sono prodotti di discreta fattura, spesso in linea con le severe norme Ue sulla sicurezza. Mamma e papà spendono meno e il negoziante guadagna. Chi è passato – via figli per l’ultima mania dei “fidget spinner” sa di che cosa si parla.


Ogni giocattolaio, d’altra parte, è il tassello di una rete distributiva che non può deprimersi oltre misura. Il negozio di quartiere è importante perché è parte di un sistema industriale prestigioso, e ancora competitivo. L’industria del gioco è una cosa seria, qui in Italia. Tra fabbriche, ideatori di nuovi prodotti, rappresentanti, commercianti all’ingrosso e al dettaglio, editori di videogame, il settore mantiene oltre 18 mila persone. Anche per questo i negozianti si battono con ogni mezzo. Qualcuno trova rifugio nei centri commerciali. Altri si spostano in periferia per aumentare la superficie delle rivendite a costi ragionevoli. Poi c’è chi emula Amazon e vende via web. Anche sui prodotti le scelte cambiano: il prezzo medio di un giocattolo in Italia è sotto i 15 euro; ci sono dentro i regali da grandi occasioni, ma anche e soprattutto il vero fenomeno di questi ultimi anni, ossia i collezionabili – gioia seriale dei pargoli e simmetrico tormento dei genitori – che sono ancora una piccola fascia di mercato, solo il 3%, ma l’anno scorso hanno fatto boom con una crescita del 77%.
L’Italia, anche con i suoi negozi e un miliardo e duecento milioni di vendite l’anno, resta il quarto mercato in Europa per i giocattoli e l’undicesimo al mondo. C’è ancora tempo per abbassare la saracinesca.