Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  marzo 16 Venerdì calendario

Legumi, colori e frutti: in cucina con Frida Kahlo

La salsa mole con cioccolato, peperoncini e nocciole. Il pipian ovvero una carne di pollo o di gallina cucinata col manì, un legume i cui frutti, una volta essiccati, producono un semenza utilizzata molto frequentemente in Sud America. Gli immancabili tacos di mais serviti con la carne. Sono solo alcuni dei piatti che si potrebbero gustare se ancora oggi ci si potesse sedere nella cucina di Frida Kahlo di cui il Mudec – il Museo delle culture di Milano – celebra l’arte pittorica (e le sue passioni, dalle letture alla moda al cibo) sino al 3 giugno prossimo. La sua abilità ai fornelli meriterebbe di essere altrettanto omaggiata perché il percorso di apprendimento e messa in pratica della sapienza culinaria è stato egualmente esaltante. Anche in questa avventura, un ruolo determinante ebbe Diego Rivera: fu per il marito, infatti, che la figlia del fotografo arrivato dall’Europa dell’Est, colpita prima dalla poliomielite e poi resa quasi inferma da un incidente in autobus, volle eccellere anche in cucina.
Sposatasi molto giovane, la pittrice di Coyoacan, quartiere pittoresco di Città del Messico, all’inizio non sapeva preparare alcun manicaretto. Si rese però presto conto che prendere per la gola il marito fosse il modo migliore per calmarlo quando eccedeva nelle sfuriate casalinghe e di quanto i banchetti ai quali partecipavano artisti, scrittori, fotografi fossero decisivi nella carriera di entrambi. Così volle imparare presto l’arte della cucina. Kahlo chiese aiuto a Lupe Marìn, l’ex moglie di Rivera, e in poco tempo seppe replicare tutti i piatti, modificando gli ingredienti, e inventando nuove portate. Tanto è vero che alla fantasia di Frida si attribuiscono un centinaio di piatti. Guadalupe Rivera, figlia di Diego, ha scritto un libro, ora introvabile, intitolato «Le feste di Frida, Ricette e ricordi della sua vita» in cui li ha raccolti. La caratteristica predominante della sua cucina era quella di abbondare con salse e condimenti. Frida amava scoprire le tradizioni gastronomiche dei vari stati della confederazione messicana e riprodurle apportando numerose varianti. Ad esempio, era bravissima nel servire «los gusanos de maguey», una ricetta che prevede la cottura di due specie di larve della famiglia dei Lepidotteri che si riproducono sul gambi del maguey, pianta con foglie lunghe e carnose. Anche il mole con anatra di Iztapalapa era il suo forte. La pittrice si ispirava molto alla cucina del tempo degli Aztechi: sapeva cucinare benissimo gli huazontles, un’erba commestibile di cui si consumano le foglie, i rami e i fiori, che preparava con fagioli e riso. 
Rivera era molto goloso di zuccheri, perciò Kahlo ben presto seppe eccellere anche nella preparazione dei dessert, a cominciare dal «dulce de mamey» che si ottiene facendo cuocere in una pentola latte e zucchero con il mamey, un frutto simile all’albicocca. O dal «cocada», biscotto tondo con uova e cocco. La frutta è un elemento imprescindibile della pasticceria messicana, anche se Kahlo amava sperimentare, in particolare con la patata dolce chiamata camote, di cui si serviva come ingrediente principale di una zuppa fresca che arricchiva con l’ananas.
Nella cucina della Casa Azul dove la coppia trascorse la maggior parte degli anni vibranti e sentimentalmente anche un po’ turbolenti del loro matrimonio, i piatti venivano preparati nei forni in pietra che funzionavano a carbone. Gli utensili sono di origine contadina, tanti sono i paioli di rame. I colori prevalenti di sedie, pensili e tavoli sono giallo e blu: sia le portate che il luogo in cui si consumavano i pasti, secondo i gusti della padrona di casa, dovevano corrispondere ai suoi gusti cromatici e ricordare, anche nelle ricette, le tradizioni millenarie della cultura messicana.
Anche se oggi è diventata un’icona femminista capace di ispirare alla Mattel una bambola messa in commercio per la festa della donna (che però ha fatto scoppiare una lite con la famiglia di Frida), e le sue rare opere sono ricercatissime da ogni museo del mondo, a Città del Messico si possono gustare ancora piatti che si avvicinano al suo spirito originario. In particolare al Café Tacuba, fondato solo cinque anni dopo la nascita dell’artista, in un ambiente e atmosfera che richiamano gli inizi del XX secolo, circondati dai murales coevi a quelli che si ammirano nel vicinissimo Palazzo delle Belle Arti, si gusta la «tinga poblana», una carne sfilacciata con le cipolle e la salsa col prelibato peperoncino chipotle preparato allo stesso modo di quello amato da Frida e Diego che spesso mangiavano qui. Da Limosneros, al civico 3 di Allende, quegli stessi piatti sono presentati in chiave contemporanea.