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 2018  marzo 16 Venerdì calendario

Albania, dai negozi «ripara-telefonini» cellulari-bomba per i jihadisti (e l’Italia)

Gentian Hoxha ha perso entrambe le mani, è in prognosi riservata ma ancora vivo. I poliziotti piantonano la stanza dell’ospedale di Tirana, in attesa dell’interrogatorio ma soprattutto di evitare che venga eliminato per fargli portare i segreti nella tomba. All’apparenza anonimo cittadino di 35 anni, alle 9.50 di martedì Hoxha ha chiuso la porta del suo negozio di riparazioni di cellulari, si è trasferito nel piccolo laboratorio e ha iniziato ad armeggiare su un telefonino che per errore è esploso. Hoxha preparava un cellulare-bomba. 
Al confine Quel negozio è a due isolati dall’ambasciata americana nella capitale albanese. Ma per inquadrare questo caso, che non è affatto un caso isolato, bisogna allargare la geografia; spostarsi, anche se non di molto, e arrivare in Puglia e alla guerra di mafia (l’ultima strage il 9 agosto, quattro morti ammazzati a Foggia). Un mese fa era stato fermato un camion al confine con il Montenegro. Nascosti a bordo c’erano tre di questi ordigni, destinati all’Italia dopo l’attraversamento del mare. Il meccanismo dei cellulari-bomba è semplice e letale: mezzo chilogrammo di tritolo viene legato al telefonino e il pacco posizionato sotto la macchina dell’«obiettivo»; chiamando il numero di quel cellulare, si aziona un sensore che innesca la bomba. Negli ultimi mesi, da Tirana fino al sud e a Valona, sono sorti centinaia di negozi di riparazione di telefonini. Alcuni dei titolari sarebbero direttamente legati alle moschee. Potrebbe essere soltanto una coincidenza ma gli investigatori non ci credono: c’è il forte sospetto che insieme alla «direttrice» dei clan pugliesi, ci sia quella jihadista. A conferma di una centralità albanese nelle trame stragiste, come successo il 14 luglio 2016 con l’attentatore di Nizza Mohamed Lahouaiej Bouhlel, in contatto proprio con albanesi per recuperare le armi. 
I rifornimenti Questa centralità ha un contraltare e un argine nella stessa Albania, dove gli ex giovani poliziotti sopravvissuti alla guerra civile e alle vendette degli scafisti, sono arrivati a ricoprire posizioni di livello. Sono quarantenni cresciuti con gli insegnamenti delle forze dell’ordine italiane all’epoca degli addestramenti in Albania; hanno imparato tecniche d’indagine e capacità di analisi e sono diventati interlocutori molto ascoltati per primi dai loro antichi maestri, a cominciare dal contrasto alla droga. La scoperta e lo sviluppo del filone investigativo dei telefonini-bomba nasce da questi investigatori. Per esempio dalle squadre dirette a Valona dal capo della polizia Gentian Musabelliu e a Fier dall’omologo Artur Selimaj, da tempo impegnati ad arginare gli imperi di quegli stessi scafisti che hanno convertito gli «incassi» nell’acquisto di ettari di piantagioni. La tradizionale rotta adriatica tra Albania e Puglia è utilizzata per il trasporto dei carichi di stupefacenti. Sui gommoni e motoscafi sono nascoste anche le armi. Ora viaggiano i cellulari-bomba. 
Le prime denunce L’acquisto di arsenali dall’Albania è una caratteristica del settore degli assalti ai furgoni portavalori, storicamente di base nella zona di Cerignola. Ma come dice al Corriere una fonte qualificata, questa nuova arma, ovvero il tritolo veicolato da un telefonino, testimonia una «crescita» di livello, di strategia e di fine ultimo dell’azione. La droga ha originato scontri sia «interni» sia tra italiani e albanesi che si «concretizzano» anche all’estero. Il boss foggiano Saverio Tucci è stato assassinato a ottobre ad Amsterdam; è italiano il sicario ma nell’elenco degli altri coinvolti dovrebbero esserci albanesi. Dopo il clamore mediatico della strage d’agosto, sulla Puglia è tornato il silenzio. Eppure, ripetono da Foggia carabinieri e poliziotti, è cominciata una piccola, enorme rivoluzione: «Ci sono state le prime faticosissime denunce di imprenditori vessati dai clan. Ora tocca a noi dare risultati immediati e concreti, altrimenti sarà ancora tutto inutile».