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 2018  marzo 16 Venerdì calendario

A bordo della nave che posa i parchi eolici in mare aperto

37°33N 0°58w
La chiave a stella, ma a stella di mare. La Saipem 7000 è la nave officina più grande al mondo. Dei 305 uomini che vi vivono in queste settimane nel Mediterraneo Occidentale appena una settantina sono marittimi, non più di una trentina sono imbarcati per i servizi come le cucine o la lavanderia. Gli altri duecento sono saldatori, montatori, elettricisti, tornitori, carpentieri, fresatori, gruisti e il loro strumento di lavoro non è il compasso fatto piroettare sulla carta nautica bensì la chiave a stella appesa alla cintura.
Per questo motivo, la dimensione della nave si misura non in stazza lorda né in metri (200 di lunghezza e 90 improbabili metri di larghezza spropositata: una chiatta colossale). Si misura invece in tonnellate di sollevamento delle due gru gemelle costruite trent’anni fa dalle Reggiane, 7mila tonnellate l’una, che associate significano 14mila tonnellate. Non ce ne sono altre al mondo. Il nome Saipem 7000 significa appunto la capacità delle gru espressa in tonnellate. Quando trent’anni fa la nave era della Micoperi, fu fatta la prova in mare e lentamente le due gru altre duecento metri alzarono 14.600 tonnellate. La Saipem 7000 potrebbe prendere l’intera portaerei Garibaldi compresi aerei e aviatori, dislocamento 14.150 tonnellate. «Ma finora il lavoro più impegnativo ha richiesto 12mila tonnellate», ricorda il comandante Guido Schiappacasse, ligure di Camogli.
Quando fu varata dalla Micoperi, la Saipem 7000 era arrivata troppo presto per il mercato. Nessuno la comprese. Ma cambiò il mercato delle costruzioni petrolifere. «Le piattaforme si realizzavano a moduli, a pezzi», osserva il Cfo della Saipem, Gianni Di Pietro, abruzzese. «Sulle zampe si montavano e collegavano tutti i pezzi. Ma questa nave officina cambiò lo scenario. Da allora, le piattaforme sono costruite comodamente a terra e poi vengono posate dalla gru di questa nave già funzionanti e allestite, compresi materassi e lenzuola».
Pasquale l’ubiquo e Romeo
La Saipem 7000 ha finito di posare sul fondo del Mediterraneo Orientale alcuni impianti di servizio ai giacimenti di metano che circondano l’area di Zohr. Tra qualche giorno la nave finirà alcune attività di apprestamento nel Mediterraneo Occidentale e, passate le colonne d’Ercole, andrà a caricare attrezzature a Rotterdam. Poi nel Mare del Nord istallerà i piloni e le eliche della centrale eolica Hornsey-1 ordinata dalla danese Ørsted. Anche in quel caso, il lavoro si concentrerà attorno a tecnici imbattibili, come l’ufficiale di macchina che riesce a tenere immobile la nave in mezzo alle correnti dell’oceano giocando su 12 eliche, ma meritano di essere notate quattro persone. Primo, il comandante Schiappacasse, figura storica della grande marineria italiana. Secondo: il responsabile industriale, Roberto Spreafico, ingegnere triestino.
Ma ecco gli altri due tetrarchi dei grandi lavori: il caposquadra Pasquale e il gruista Romeo.
Pasquale, piccolo e fortissimo, parla poco in tutte le lingue e sembra dotato del dono dell’ubiquità. Con un’occhiata blocca su un traliccio una squadra di montatori malesi ma in contemporanea dietro la gru di destra controlla le saldature degli operai croati ma nello stesso momento sul ponte di coperta dà ordini agli elettricisti filippini ma in ponte di comando sta concordando un piano di lavoro con l’ufficiale italiano di rotta. Lo conoscono tutti e tutti gli obbediscono, anche i signori ingegneri con la cravatta.
Romeo, abruzzese di Guardiagrele, è il gruista. Nel mondo ci sarà una quindicina di gruisti con il suo numero di abilitazioni. Ma nel mondo non ci sono altri gruisti capaci di usare un gancio di 20 tonnellate, appeso in fondo ai cavi, per sfiorare una carezza. Eppure, lui riesce: il traliccio o il tubo imbragato che porge con il suo braccio lungo 160 metri è già allineato al centimetro e l’incastro scivola da solo al suo posto, come se Romeo lo posasse con la punta delle dita, e agli operai montatori basta girare le chiavi a stella e stringere i dadi.
Il catamarano sommergibile
La nave Saipem 7000 è la nave più stravagante al mondo. È un catamarano con due scafi, quindi e largo e chiatto. Poi è un catamarano che può sprofondare o sollevarsi. Quando deve navigare alla modesta velocità di 8 nodi (15 lentissimi chilometri l’ora) vuota dall’acqua le zavorre e si alza e pesca 11 metri di profondità, come una nave normale. Quando deve lavorare deve essere immobile, così apre le prese a mare, allaga le casse di zavorra e sprofonda a 26 metri. Quando fra le onde le due gru sono sbracciate in fuori con pesi smisurati la nave potrebbe inclinarsi da un lato e forse anche ribaltarsi, e invece resta ferma come un tavolo da biliardo perché la nave viene tenuta in equilibrio perfetto, al millimetro, spostando nelle zavorre dello scafo quantità enormi di acqua.
Quattro mesi in mare
La nave resta stazzata come un tavolo da biliardo, e sul ponte A il biliardo c’è davvero. E un piccolo campetto per allenarsi a golf. La palestra, con le panche, i pesi e il nastro su cui correre. La libreria e la saletta fumatori. La saletta per guardare la tv croata e quella riservata agli italiani e così via. La sala mensa ha menù ispirati alle tradizioni di mezzo mondo perché l’equipaggio è formato da una quindicina di nazionalità diverse.
Ci sono gli italiani, ovviamente. Le squadre tecniche e ingegneristiche sono soprattutto europee: oltre agli italiani ci sono olandesi, croati, inglesi, polacchi e così via. La maggior parte degli operai vengono dall’Estremo Oriente, come le squadre di malesi. Il personale marittimo è formato da molti filippini.Le lingue franche sono due, inglese e italiano.
Ogni gruppo nazionale ha le sue caratteristiche. Per esempio, i malesi amano tenere appeso alla cintura non solamente la chiave a stella di ogni montatori ma anche un coltello lungo così, spesso forgiato in officina e sagomato con il tornio. Quando trasbordano si mettono in fila dal caposquadra Pasquale e gli consegnano i loro kriss, che non sarebbero tollerati fuori dalla Saipem 7000.
Gli italiani seguono due diversi contratti, quello dei marittimi per i marinai e il contratto energia per il lavoro tecnico. Quattro mesi a bordo e quattro mesi a casa, le squadre si alternano. Due di tutto: due direttori di operazioni, due ufficiali di macchina, due medici. E due comandanti, oltre a Schiappacasse (martedì 13 marzo ha cominciato i suoi 4 mesi di imbarco) e il giovane messinese Francesco Di Pietro.
Gli europei stanno imbarcati in genere quattro mesi, perché per andare a casa bastano poche ore di aereo low cost; ma quelli che arrivano dalle Filippine o dall’Indonesia cercano di fare turni lunghissimi e di scendere a terra il meno possibile, sei mesi e più a bordo, per raccogliere quanti più risparmi possibile da mandare a casa, dove è una ricchezza da nababbi lo stipendio confrontabile a quello di un operaio specializzato europeo o di un marittimo italiano.
Tutti vivono in cabine singole o con due letti a castello. Ogni camera è dotata di oblò (più pregiate quelle vista mare, meno quelle rivolte sul campetto da golf), televisione e gabinetto con doccia: la nave è un albergo tre stelle che sui sette ponti può ospitare fino a 740 persone, se ci sono squadre aggiuntive per lavori speciali, ma in genere non si superano le 350-400 persone.