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 2018  marzo 15 Giovedì calendario

Mark Rylance: «Sei un proletario? Infilati un casco virtuale e parti per le Barbados»

NEW YORK Il corpo leggero, gli occhioni da bambino. Mark Rylance occupa da solo la quarta fila di una sala privata dietro Rockefeller Center. «Oggi sono in sciopero» sorride e nasconde il mento sotto una camicia a scacchi rossi e blu.
«Sciopero d’attore».
Le luci si spengono. Il grande sogno di Ready Player One parte anche per lui, spettatore d’eccezione: Steven Spielberg dirige, Mark Rylance – premio Oscar per Il ponte delle spie, sempre diretto dal papà di E. T. – interpreta James Halliday, l’inventore di un gioco online chiamato OASIS, evoluto in realtà virtuale per milioni di utenti. Anno: 2045. Tra loro spuntano gli High Five, cinque amici guidati dal giovane talento Tye Sheridan, divisi tra la vita vera e quella dentro un visore, alla ricerca di un Easter Egg nascosto da Halliday prima di morire.
Chi troverà la sorpresa erediterà tutti i suoi beni.
Tratto dal bestseller di Ernest Cline, Ready Player One arriva in sala il 28 marzo. «Il libro non è distopico. È realistico in modo inquietante» dice Rylance, 58 anni, origini inglesi, la vita per il teatro (il primo Olivier nel ’93), ex direttore artistico del Globe a Londra. «Rylance parla Shakespeare come fosse stato scritto per lui la notte prima» ha dichiarato Al Pacino. Sceglie registi come Spielberg e Nolan: la spia sovietica, il dahliano Grande gigante gentile, il civile sulla barca che salva gli alleati in Dunkirk. «E ora un clone di Steve Jobs con un proprio avatar di nome Anorak, un mago alto e togato».
Com’è il film visto per la prima
volta?
«Veloce! Steven gira con la stessa mano di un fumettista. Le mie reazioni davanti allo schermo sono “Oh!”, “Oh!”, “Oh!”. Steven è il mio Billy Wilder: fa lo swing tra impegno e fantasia».
Conosceva il mondo di “Ready Player One”?
«Il libro è ricco di omaggi alla cultura pop anni Ottanta. Io sono più un figlio dei Settanta; Spielberg se n’è accorto e ha dovuto formarmi: mi ha spedito le videocassette di Breakfast Club, Sapore di Hamburger, Tron, L’avventura degli Ewoks. Non avevo mai visto Ritorno al futuro! Sono tutti film pieni di speranza, nati sotto Reagan e altri leader crudeli».
Nel 2045 il pianeta Terra è in piena emergenza energetica, mutamenti climatici, carestie, una mezza dozzina di guerre.
Fantascienza?
«Oggi viviamo in un’OASIS perfetta.
Internet non offre forse tutte le possibili fughe dalla realtà? È il rapporto tra la tua vita e il virtuale che fa la differenza: se vuoi provare la violenza, ti attacchi al joystick.
Se scegli Google per conoscere gli effetti del riscaldamento globale, ora hai le chiavi. Dipende da cosa chiede la tua immaginazione.
Certo, con tutte le persone intelligenti connesse, mi aspettavo dei “potenti della Terra” meno disfunzionali. La rete fa del bene o del male alla politica? Questo è il dilemma. La tentazione di scappare dalla realtà è forte. Se sei un proletario e non puoi permetterti le Barbados, infilare un casco in testa è l’unico comfort rimasto».
Ha fiducia nei social media?
«No, sono l’emblema della manipolazione. Le fasce più vulnerabili sono quelle povere.
Le nostre informazioni finiscono subito in pasto ai supermercati del consumo. È una delle ragioni per cui non sono iscritto a Facebook e uso solo le mail. La telecamera del mio laptop è coperta da un pezzo di scotch. Le spie si infilano ovunque. Spielberg è più pessimista di me però non è disconnesso dalla società. Dona milioni agli studenti, io al massimo li invito a teatro».
Va al cinema?
«Sono stato a una proiezione di
Black Panther alle dieci del mattino. Mi è piaciuto La forma dell’acqua anche se la creatura è troppo sexy e ripulita. Ho amato La grande bellezza, ma ha diviso tutte le persone a cui l’ho mostrato».
Se infilasse un casco da realtà virtuale dove andrebbe?
«A Parigi insieme a Marilyn Monroe in una versione VR de Gli uomini preferiscono le bionde o nella riserva della tribù di Toro seduto e Cavallo pazzo. Incontrerei Shakespeare in un teatro kabuki…».
È a Broadway con “Farinelli and the King”.
«Dopo Filippo V vorrei interpretare solo cattivi. La prossima estate sarò Iago. Mi piacerebbe portare in scena in Italia un sociopatico o un torturatore. D’estate tornerò in Sicilia; ho seguito da qua gli scavi del teatro di Agrigento, ho visto prendere forma l’antica Akragas, ripescare maschere, lucerne e monili. Che incanto il vostro Sud!».
È vero che da piccolo parlava con difficoltà?
«Mangiavo le parole appena trasferito da Kent negli Usa. Diamo troppo peso alla chiarezza, a me attrae l’incomprensibile. Einstein ha detto: “La sensazione più bella che possiamo provare è il mistero”.
Lo humour, l’eloquenza e soprattutto il sesso sono il concentrato di quello che non riusciamo a capire».
Il regista più misterioso?
«Patrice Chéreau. Le scene di sesso in Intimacy sono state le più difficili e dolorose della mia carriera.
Non mi sono mai ripreso da quella esperienza e dagli attacchi che sono seguiti. Chéreau resta un grande maestro. Dio lo abbia in gloria».