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 2018  marzo 15 Giovedì calendario

Gli intoccabili di Londongrad

Red Sparrow, la storia della ballerina del Bolshoj costretta a trasformarsi in uno spietato agente segreto dopo un durissimo addestramento anche sessuale, non è un film molto riuscito, ma la tesi che è alla base della trama è sicuramente molto azzeccata: per la Russia la guerra fredda non è mai davvero finita. Tanto più vero da quando, ormai da 18 anni, al Cremlino comanda un ex agente del Kgb, circondato da un un inner circle impenetrabile ( una sorta di riedizione del Politbjuro di sovietica memoria), composto quasi tutto da uomini cresciuti, come Putin, nelle fila dei servizi segreti. Ma se il clima che la Russia ha ricreato, dentro e fuori i propri confini, è lo stesso degli anni della guerra fredda, i mezzi e i fini sono cambiati. Ed è questo che Theresa May non ha capito – o ha finto di non aver capito – reagendo all’avvelenamento di Sergej Skripal e della figlia come se fossimo ancora al tempo dei romanzi di John Le Carré. Con l’espulsione di 23 russi e il congelamento dei rapporti diplomatici e delle visite di Stato (Mondiali di calcio compresi) ha quasi eguagliato Margaret Thatcher, che ne cacciò 31 nel 1985, e ha forse pensato di emulare la “lady di ferro” soprattutto verso quell’Inghilterra che si sente ancora imperiale e ha votato per la Brexit. Ma è una reazione datata e alla fine potrebbe essere controproducente.

Difatti le altre capitali europee sono state poco solidali, in alcuni casi perfino fredde fino alla scoperta irritazione. Per non parlare degli Stati Uniti, dove addirittura l’accennata solidarietà a May sarebbe stata una delle cause del siluramento del segretario di Stato Rex Tillerson, facendo traboccare il vaso dei dissapori che da tempo c’erano tra lui e Donald Trump.
Perché queste reazioni spettacolari di un Paese sempre più isolato diplomaticamente, anche se resta un pilastro fondamentale nel sistema di difesa militare dell’Occidente, fanno soltanto il gioco della propaganda del Cremlino: Putin non chiede di meglio, alla vigilia delle elezioni presidenziali, che di far gonfiare il petto del nazionalismo e della rinascita della potenza russa a un elettorato amorfo ed economicamente insoddisfatto.
Una delle ragioni della scelta muscolare di Theresa May può essere il ricordo della accuse di debolezza che le piovvero addosso quando da home secretary ( ministro degli Interni) reagì molto cautamente all’assassinio di Aleksandr Litvinenko, l’ex agente russo contaminato con il polonio a Londra, e si oppose inizialmente all’apertura di un’inchiesta.
Ma forse la motivazione reale di questa risposta d’altri tempi ( e di scarsa efficacia) è che la signora May e il suo pittoresco ministro degli Esteri Boris Johnson non sanno e non vogliono incidere su quel territorio ormai quasi fuori controllo che viene chiamato “Londongrad”: una miscela misteriosa di oligarchi, spie, oppositori politici di Putin, ma anche alleati e “sponsor” del presidente russo, che ha infestato Londra da quando l’Urss è crollata. Come ha detto un agente del controspionaggio britannico al New York Times: «Ci sono più spie oggi a Londra che ai tempi della vecchia guerra fredda. Allora per i russi era piuttosto difficile muoversi, erano osservati e seguiti ovunque. Oggi è più facile per loro muoversi e noi non abbiamo abbastanza uomini per controllarli». E spesso distinguere tra spie vere e uomini d’affari, magari piuttosto dubbi, è molto complicato.
Cacciando due decine di diplomatici Theresa May ha evitato di andare al cuore del problema, quell’impunità di cui i russi di tutte le categorie, da Abramovich alle spie, sembrano godere a “Londongrad”. E a Mosca questo limite lo hanno capito da un pezzo. Come dice Mark Galeotti, uno dei migliori “lettori” della Russia di Putin e dei suoi derivati: «A Mosca sanno che è improbabile che la Gran Bretagna prenda misure che fanno davvero male, come sanzioni contro gli oligarchi e le loro famiglie, perché gli inglesi hanno bisogno dei loro soldi e ne avranno ancora più bisogno dopo la Brexit». Anche nella guerra delle spie l’uscita dall’Europa sta facendo pagare un prezzo salato al governo britannico.