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 2018  marzo 12 Lunedì calendario

«Non chiamatela Margherita». Disfida social sulla pizza di Cracco

Che le cose si fossero messe male si è capito quando è comparso San Gennaro. Fino ad allora, l’incresciosa vicenda rimbalzava placidamente sui social network, dal living al bagno alla cucina di Carlo Cracco, colpevole di aver inserito nel menu del suo Bistrot milanese in Galleria una pizza Margherita a 16 euro. Accertato che il posto conquistato dallo chef stellato nel trend topic di Twitter sabato sera non era dovuto all’ennesima trovata macabra di un reality show, ma al rincorrersi di giudizi e pregiudizi sulla sua rilettura del bene partenopeo più famoso al mondo, non restava che armarsi di pazienza e disporsi a un’ora di attesa (diventati poi venti minuti) nella sala stuccata del nuovo locale inaugurato venti giorni fa sotto la Madonnina, per provare di persona il piatto al quale Fanpage.it ha dedicato il poco lusinghiero articolo da cui si è scatenata l’offensiva online.
Sgradevoli eccezioni a parte, la Rete aveva dato perlopiù prova di dissacrante ironia: da @dedalux («Bello questo Gran Cereale con mozzarella e pomodoro») a @mic_tod («Ho visto la pizza di Cracco e mi sono catapultato a consegnare 8 stelle Michelin all’egiziano sotto casa») passando per Francesco Giamblanco, che rimpiangeva la pizza all’ananas. 
Al centro della questione, però, c’era soprattutto l’orgoglio partenopeo ferito. Luigi Patti l’ha sintetizzato in poche parole: «Ogni volta che Cracco sforna la sua pizza Margherita facendola pagare 16 euro, un pizzaiolo napoletano muore di crepacuore». Antonio Ingenito, che ha ribattezzato la creatura dell’ex giudice di MasterChef «Scraccorella», ha invocato San Gennaro: «Abbi pietà di lui perché non sa quello che fa».
Sabato mattina è dovuto scendere in campo perfino Gino Sorbillo, il maestro della pizza napoletana, che ha tentato di placare gli animi raccontando su Facebook la sua esperienza personale. «Ragazzi, a me lunedì scorso a cena l’interpretazione della pizza di Carlo Cracco nella Galleria Vittorio Emanuele a Milano è piaciuta. Non è Pizza Napoletana e non viene venduta come tale, è la sua Pizza e basta. Noi partenopei dovremmo scandalizzarci di più quando troviamo in giro pizze che fraudolentemente vengono vendute e pubblicizzate come pizze della nostra tradizione addirittura con l’aggiunta di riconoscimenti Stg, Dop, Doc e roba del genere». 
Si può obiettare che se «non è pizza napoletana» e «non è venduta come tale», forse sarebbe bastato scegliere meglio il nome. Magari «Craccolosa», «Croccantosa», «Craccorita», qualunque cosa che rendesse onore alla sua consistenza (assomiglia, per intenderci, a una frisella molto leggera e croccante condita con eccellente sugo di pomodoro San Marzano e fette di mozzarella di bufala aggiunte alla fine) e chiarisse subito che si trattava di un’artistica licenza d’autore.
Nel bistrot una cameriera spiega, forse troppo ingenuamente, che all’inizio non doveva nemmeno esserci nel menu, ma poiché la zona è molto turistica lo chef ha deciso di inserirla in due varianti: «Margherita» e «Alle verdure». Il risultato scontenterà per certo i puristi, ma come ha osservato @_Ariiiianna_ su Twitter: «In ristoranti come quello di Cracco si fanno esperienze culinarie, non si cerca la tradizione. Chi ha mangiato quella pizza dice che sia buonissima, per poter affermare il contrario dovreste almeno assaggiarla. Poi mica siete obbligati ad andare a mangiare lì». 
Chi vuole far la prova, si prepari al conto. Pizza, bottiglia d’acqua e caffè: 26 euro e cinquanta. Ma su questo punto, la riflessione più realistica la fa tale @ddoje_frittur, sempre su Twitter: «Ma non ho capito. Volete mangiare in Galleria a Milano con 10 euro? Nun stat bbuon allora!».