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 2018  febbraio 22 Giovedì calendario

Siria, a un passo dalla guerra generale in Medio Oriente

In Siria ieri è stata un’altra giornata drammatica, con nuovi bombardamenti da parte delle forze di Assad sulla regione della Ghouta orientale, l’ultima roccaforte dei ribelli intorno a Damasco. Secondo Medici senza Frontiere, negli ultimi tre giorni ci sono stati oltre 1.200 feriti e 237 morti tra i civili. Intanto cresce la possibilità di una guerra tra la Turchia di Erdogan e le forze siriani fedeli al dittatore Assad. Raramente si è stati così vicini a un conflitto generale in Medio Oriente, che potrebbe coinvolgere Israele e Iran.  

Sa che la situazione in Siria è sempre più complicata… Partiamo da questa storia di Erdogan, di cui ho capito poco o niente.
Erdogan non vuole curdi vicino a casa sua, per questo un mese fa ha lanciato l’operazione «Ramoscello d’olivo», cioè ha attaccato l’Afrin in Siria, al confine turco, dove si trovano i curdi siriani. I curdi siriani hanno stretti rapporti con i curdi turchi, la creazione di uno stato curdo-siriano renderebbe più probabile la nascita di uno stato curdo-turco, o di uno stato curdo tout-court (i curdi sono sparpagliati tra Turchia, Siria, Iraq e Iran). Ma, poiché l’Afrin è comunque in Siria, il presidente siriano Assad s’è deciso a difendere quel pezzo di territorio, in definitiva suo, lasciando che milizie sciite a lui fedeli andassero a contrastare i carri armati turchi.  

Se Erdogan decide di andare alla guerra diretta contro i siriani che cosa succede?
Gli effetti sono difficilmente prevedibili, visto che i rapporti diplomatici tra le forze che agiscono in quella zona sono parecchio complicati. I turchi, attaccando i curdi siriani, si sono di fatto messi contro gli americani, e nello stesso tempo sono la seconda forza militare della Nato! Erdogan, benché membro Nato, è sostenuto da Teheran ed è in sintonia con Putin, Assad ed Erdogan fino a ieri erano alleati, ecc. Il presidente turco sembra non voler sentire ragioni: non ha voluto seguire l’appello alla moderazione della Casa Bianca, minacciando perfino di proseguire la sua offensiva anche nelle zone dove sono presenti i militari americani, come a Manjib. Il fatto è che a Erdogan il nemico esterno serve anche a evitare di affrontare i problemi interni, con il Paese diviso e stremato da purghe e processi.  

C’è qualcuno che può mediare?
Il più accreditato è Putin. Ma il presidente russo si trova in una situazione complessa: non vuole rinunciare alle relazioni sempre più strette con Erdogan, utili in chiave anti-americana, ma al contempo è deciso a sostenere ancora Assad. Putin cerca una soluzione in cui nessuno si senta davvero sconfitto, altrimenti il fronte Iran-Russia-Turchia per stabilizzare la Siria si frantumerebbe, rimescolando le carte con risultati imprevedibili. Nei prossimi giorni i rappresentanti di Russia e Iran si incontreranno a Istanbul per cercare una soluzione che sia accettabile per Damasco. Ma Mosca, per bocca del ministro degli Esteri Sergheij Lavrov, ha già fatto sapere che la sovranità e l’integrità territoriale della Siria non si toccano, non si sa se riferendosi all’intervento turco o a quello dei curdi, sponsorizzati dagli americani.  

Mentre gli Stati Uniti?
Oggi hanno un ruolo marginale in Siria. E la colpa non si può accollare a Trump. Il disimpegno risale a Obama, che ai tempi parlò di una «linea rossa» che Assad non avrebbe dovuto superare e che invece il dittatore siriano ha ripetutamente varcato senza che la Casa Bianca muovesse un dito (si trattava dell’uso dei gas sulla popolazione inerme). La scelta di Obama ha lasciato campo libero a Putin. Nonostante in campagna elettorale Trump avesse annunciato più volte il suo disinteresse per il destino della Siria, nell’ultimo anno la sua Amministrazione ha tentato di rientrare in gioco. In cerca di un nuovo radicamento nella regione, il Pentagono ha aperto dieci basi militari nel Rojava. Trump poi vorrebbe far entrare in gioco l’Arabia Saudita e confida in Israele, sul piede di guerra con l’Iran, per eventuali iniziative militari. Ma di fatto il pallino nella regione non è in mano alla Casa Bianca.   

• E i bombardamenti alle porte di Damasco?
Il dittatore siriano ha creduto di poter approfittare della distrazione del mondo per la crisi di Afrin e ha bombardato Ghouda, periferia di Damasco, dove sono attestate le milizie che fin dal 2012 tentano di rovesciarlo. È stato un bagno di sangue: tra gli oltre 200 civili uccisi ci sono 60 bambini. Avrà visto anche lei la fotografia che da ieri circola in rete: ritrae una bambina di 8-10 anni con il pigiama rosa e le ciabatte del padre o del fratello troppo grandi per i suoi piedini mentre viene soccorsa tra le macerie. È stata diffusa da “The white helmets”, un’associazione di volontari dell’organizzazione umanitaria Difesa civile siriana, insieme a un testo: «Questo è come il regime ha svegliato stamattina questa bambina in Hamorya, distruggendo la facciata di casa sua. Nel suo pigiama, è stata tratta in salvo da un elmetto bianco, 5 civili sono morti in questo attacco». Rispetto alle tante tragiche fotografie scattate in questi giorni nella periferia di Damasco, questa immagine colpisce particolarmente perché rende l’idea di una normalità improvvisamente negata. E ci ricorda che la Siria è un paese in guerra ormai da quasi sette anni.