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 2018  febbraio 21 Mercoledì calendario

L’Unicef accusa Pakistan e Africa. «Così muoiono migliaia di bimbi»

BANGKOK Non c’è posto più pericoloso del Pakistan per venire al mondo sul pianeta Terra. Lo rivela un rapporto dell’Unicef (l’organizzazione per l’infanzia delle Nazioni Unite) secondo il quale ogni 22 neonati uno non arriva al primo mese di vita: un record ben al di sopra delle medie africane, già terribili se confrontate a quelle di Paesi come il Giappone dove ne muore solo uno su mille.
Ben poco serve a consolare il Paese islamico, afflitto da mali antichi e dal terrorismo fondamentalista che boicotta perfino i vaccini della polio, sapere che nelle casistiche dell’Unicef la “nemica” India è in posizione di poco migliore, con 25,4 decessi su mille nati vivi, contro i 45,6 bimbi pachistani. In mezzo ci sono una decina di Paesi africani, dalla Repubblica centrafricana al Ciad: sono qui otto dei dieci Paesi al mondo dove è più rischioso nascere.
In generale le statistiche rese note ieri con le tabelle divise per nazioni e continenti rendono l’entità di un fenomeno dove è evidente la differenza tra Paesi ricchi e poveri, con un dato su tutti a far riflettere: l’80 per cento degli oltre 2 milioni e mezzo di piccoli morti nei primi giorni di vita – ben 7000 al giorno – poteva essere salvato se avesse avuto accesso ad adeguate cure sanitarie.
Salita al 12esimo posto nella mortalità infantile tra i 52 Paesi della fascia a medio-basso reddito (e al 153simo posto su 182 nella classifica globale), secondo l’Unicef l’India ha dimezzato nell’ultimo quarto di secolo il numero dei decessi tra i bambini di età inferiore ai cinque anni. Ma «non ci sono stati progressi simili nel porre fine alle morti tra i neonati di meno di un mese», ha detto la direttrice Henrietta H.
Fore. Da qui il risultato della ricerca: ogni anno 600mila piccoli indiani muoiono proprio in questa fascia d’età, l’intera popolazione di una città come Palermo.
Questo dato diventa ancora più agghiacciante se riferito ai risultati delle ricerche dello stesso governo indiano di appena 3 anni fa, dove risultò che nelle prime settimane di vita ogni mille bambini morti 14 erano maschi e 23 bambine. Ma ancora più allarmante risultò lo studio sulla sopravvivenza dopo i primi anni di infanzia, con il 61% di bambini rimasti in vita contro il 39% di femmine, evidentemente per le minori cure riservate loro rispetto ai fratelli.
Con una popolazione di oltre un quinto inferiore, il Pakistan offre un quadro altrettanto sconcertante, anche se in questo caso i dettagli non vengono dall’Unicef ma dal servizio sanitario nazionale. Risulta che ogni minuto un infante muore di diarrea e infezioni acute del tratto respiratorio e che ogni anno circa 400.000 bambini non superano il primo anno di vita.
A poco sono valsi finora i numerosi programmi di riduzione della povertà promossi da India e Pakistan, più preoccupati ad armare i propri confini che a spendere soldi di bilancio nell’igiene, l’educazione e l’assistenza sanitaria. Ma questo l’Unicef non lo dice, limitandosi a notare che, come sempre, le condizioni peggiori per la salute dell’infanzia si creano nei luoghi di conflitto, o – nel caso dei due vicini perennemente in stato di allarme atomico – in conseguenza delle spese destinate alla guerra.
Se assieme al Pakistan e all’India il record negativo delle morti alla nascita spetta alle repubbliche centrafricane e all’Afghanistan, è sorprendente notare che in altre nazioni vicine e altrettanto povere come il Bangladesh o il Nepal le possibilità di sopravvivenza siano decisamente più alte.
Commentando i dati, Dilip Mavlankar, direttore dell’Istituto indiano di salute pubblica, ha detto che i programmi di vaccinazione possono ridurre la mortalità infantile ma non quella neonatale. Per questo serve di rafforzare programmi come «l’assistenza domiciliare e medica, promuovere l’allattamento al seno, nutrire i bambini sottopeso e le madri, prevenire i matrimoni precoci e ridurre la malnutrizione delle ragazze».
Nello stesso Paese appaiono enormi le disparità tra i diversi stati. Mentre Kerala e Goa hanno tassi di mortalità neonatale di 10 ogni 1.000 nati vivi, in Bihar e Uttarakhand sale a 44, quasi al livello del Pakistan. Statistiche analoghe riguardano l’Uttar Pradesh, il Bihar, il Madhya Pradesh e il Rajasthan dove nasce il 46% dei bambini indiani e dove si registra il 57% delle morti neonatali.
Oltre l’80% di questi decessi è dovuto a parti prematuri e infezioni come sepsi, meningite e polmonite. Malattie – dice l’Unicef – prevenibili con un’assistenza sanitaria a prezzi accessibili e funzionari medici addestrati.
Peccato che l’India spenda solo 10 miliardi di dollari per la sanità contro i 53 miliardi l’anno per rafforzare la difesa, mentre il Pakistan paga per armarsi 12 miliardi, e meno di 200 milioni per ospedali e servizi di assistenza medica nelle aree rurali, dove vive la gran parte della popolazione povera.
Una logica di bilancio statale che nessuna statistica delle Nazioni Unite potrà mai spiegarci.