Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 21 Mercoledì calendario

La crisi della Embraco, un caso esemplare

A parte il fatto che si tratta di un caso drammatico, e non vorremmo essere fraintesi, quella dell’Embraco è una «bella» storia, perché mette in un colpo solo parecchie dita in parecchie piaghe.  

Riassumiamo prima, però, perché la parola Embraco è risuonata ieri sera dalla televisione mentre stavamo cenando però se le dicessi che so di che si tratta...
Un’azienda brasiliana, controllata dalla multinazionale Whirlpool, undicimila dipendenti sparpagliati in sette paesi. Tra questi paesi c’è l’Italia. A Riva di Chieri, comune di neanche cinquemila abitanti nel comprensorio della città metropolitana di Torino, fabbricano da un quarto di secolo compressori per frigoriferi. È un settore maturo, in cui i margini di guadagno sono bassi. Whirlpool, a gennaio, ha annunciato che Riva di Chieri avrebbe chiuso e la lavorazione dei compressori sarebbe stata trasferita in Slovacchia. È cominciato il solito balletto - sindacati, ministero - fino al culmine dell’altro giorno: convocati da Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico (il vecchio ministero dell’Industria), i manager della Embraco non sono neanche venuti all’appuntamento. Calenda li ha chiamati «gentaglia» e annunicato che non li vuole vedere mai più. In questa reazione, come è ovvio, c’è una componente elettoralistica, ma il caso è tuttavia grave, o se preferisce «bello», e ieri il ministro è andato a parlarne con la Marghrethe Vestager che per conto dell’Europa vigila su concorrenza e aiuti di stato.  

La Slovacchia passa soldi alla Embraco perché si sposti da loro?
Ufficialmente no, ma di fatto sì. Il giro è questo: l’Italia versa ogni anno nelle casse dell’Unione europea una quindicina di miliardi (l’ultimo dato ufficiale disponibile si riferisce al 2015), dalla cassa dell’Unione europea si prelevano poi ogni anno quattro miliardi scarsi e si consegnano alla Slovacchia, uno di quei paesi che riceve più di quanto dà (il nostro saldo è invece negati per poco più di un miliardo). Con i soldi che provengono dalla Ue, e che in parte sono anche nostri, la Slovacchia pratica poi tutta una politica di incentivi per attirare in patri aziende che operano in altri paesi, per esempio in Italia. Che razza di alleanza è l’Unione europea - si chiede uno - se è ammesso farsi la guerra tra alleati?  

In che consistono queste agevolazioni slovacche?
Si può tranquillamente leggere l’offerta contenuta nel sito Slovak investment and trade development agency, l’agenzia governativa preposta ad attirare investimenti. Aliquote fiscali al 21%, nessuna imposta sulle compravendite immobiliari, sconto del 35% sulle tasse, contributo fino a 30 mila euro per ogni assunzione. Il costo del lavoro poi è imparagonabile: noi viaggiamo intorno ai 27 euro l’ora, loro intorno ai 10. Si sono già spostate in Slovacchia Kia, Volkswagen, Peugeot. E tra le italiane Magneti Marelli, Came, Zanini, la Pantani tubi. Calenda sospetta poi che oltre agli incentivi dichiarati, si pratichino degli accordi sottobanco, come ha fatto il Lussemburgo con Apple e Fiat o come fece l’Irlanda sempre con la Apple. La Vestager obbligò poi gli irlandesi a farsi restituire da Apple 13 miliardi.  

Potrebbe accadere qualcosa di simile anche con la Embraco?
Ieri il ministro Calenda è andato a trovare la Vestager. All’uscita ha detto che l’incontro era andato molto bene. La commissaria terrà una conferenza stampa oggi e spiegherà il suo punto di vista. Sappiamo che si tratta di una che non scherza, quindi se la Slovacchia, l’Embraco e la Whirlpool hanno esagerato in furbizie, possiamo star certi che li stangherà. Vestager sta già indagando su 125 milioni concessi dagli slovacchi alla Jaguar per convincerla a costruire a Nitra. L’idea di Calenda è che l’Europa costituisca un fondo a cui attingere per compensare le differenze fiscali e salariali tra un paese e l’altro. Si chiamerebbe «fondo per l’aggiustamento della globalizzazione». È un modo indiretto per ammettere che un euro solo, uguale per tutti, in una situazione variegata come quella europea, non è sufficiente. Contesti economici tanto diversi regolano i loro rapporti proprio attraverso le valute. La moneta unica avrebbe dovuto essere una conseguenza naturale di una confluenza armonica delle varie economie in un unicum. S’è fatto invece prima l’euro della convergenza. È un altro punto per cui il caso Embraco risulta esemplare.  

Come mai non ho sentito niente da parte sindacale?
I sindacati finora stanno col ministro. Landini ha chiesto a Calenda di mettersi in contatto direttamente con la Whirlpool, i padroni della Embraco. Ieri, un operaio della Embraco che si chiama Daniele Simoni, s’è legato a un cancello della fabbrica. «Non voglio mollare, è la mia fabbrica che mi ha dato da mangiare per 25 anni, finché c’è uno spiraglio non mollerò». Il ministro, a sua volta, ha lanciato un messaggio d’incoraggiamento. «Non molliamo, stiamo lavorando a tutti i livelli, lavoriamo qua, lavoriamo con Invitalia che è partita a fare una mappatura di progetti alternativi per l’industrializzazione, non si molla come è successo in casi di altre crisi prima di questa».