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 2017  dicembre 12 Martedì calendario

Il giudice e le minigonne imposte. «Mi attaccate? Io sono un genio»

ROMA Consigliere Bellomo, ci spiega perché costringeva le borsiste al dress code con minigonna nera e tacchi? 
«Sono tenuto al silenzio e fino a che non sarà finita non posso difendermi. Sono state scritte cose false. Il magistrato si giudica per quello che fa». 
Che vuol dire? 
«La giustizia è criticatissima e invece vi trovate davanti uno che per 25 anni l’ha svolta in maniera praticamente perfetta. Una volta che io esco dalle aule di giustizia torno una persona libera di esprimere le mie idee. Giudicatemi come uomo».
E il regolamento con vestiti succinti e obbligo di omertà? 
«Ma quale omertà? Voi non ce l’avete il contratto. È tutto trasparente». 
Allora lo mostri. Perché tanto segreto? 
«Esistono delle clausole di riservatezza nel contratto che viene sottoscritto con la società che organizza i corsi. Come negli Stati Uniti». 
Il Corriere però ha letto i suoi articoli. 
«Visto che avete rubato quelle riviste cercate di capire il mio metodo innovativo». 
Che problema c’è a leggere una rivista giuridica? Perché deve essere segreta?
«È riservata agli allievi del corso. Innanzitutto perché hanno pagato, e poi perché è un metodo che li avvantaggia nel superare l’esame». 
È lei a scrivere che una borsista scartata venne ripescata dopo aver indossato a lezione il dress code.
«È una semplificazione. Il mio è un metodo scientifico di intendere la funzione della ragione nelle cose umane. Tutti i geni, anche Einstein, si sono dovuti difendere dagli attacchi di chi non ne conosceva le idee. Non avrei voluto divulgare le mie, ma sono venute fuori. Allora perché non dite che funzionano? Le mie allieve (e i miei allievi) hanno superato il concorso più di quelle di qualunque altro corso. E poi il dress code non è quello che scrivete». 
Ma ci sono le foto.
«Quelli sono eventi. E il dress code non mi è stato contestato, mentre leggo che sono stato condannato per quello. Io non posso e non voglio parlare di quel procedimento di fronte al Consiglio di Stato. Ma se anche volessi, come nel processo di Kafka io, tutt’ora, le accuse non le conosco. Non mi hanno contestato nessuna clausola. Un uomo che ha fatto il pm in realtà complicate come la Sicilia, può essere censurato per un dress code ?» 
Anche per aver raccontato i rapporti sessuali che una borsista aveva con lei e con altri uomini. 
«Bisognerebbe sapere se c’era il consenso».
C’era? 
«Certo. Questa ragazza ha vinto il concorso, durante la pubblicazione della rivista. Non vi fate domande?». 
Alcune ragazze raccontano di altre allieve selezionate per meriti che, una volta diventate borsiste, non parlavano più con nessuno e sembravano entrate in una setta. 
«Non è vero niente. Non è scritto da nessuna parte. Io quando ero pm gli anonimi li cestinavo».
Allora può rassicurare le sue allieve che non denuncerà chi deciderà di parlare? 
«Come posso rassicurarle di una cosa che non esiste?»
Temono che le faccia bocciare al concorso.
«Assurdo. Non ne ho il potere». 
E allora come spiega quanto sta accadendo? 
«Facciamo un esempio: due persone si incontrano, fanno l’amore, il giorno dopo l’uomo dice che è stato bello. La donna lo denuncia. Vogliamo capire come mai?». 
Facciamone un altro: aspiranti attrici facevano un provino da Weinstein e venivano molestate. 
«Non c’entro nulla con quel tipo di cose. Weinstein è un produttore che ti può bloccare la carriera. Io non sono la casta sono uno che ne sta completamente al di fuori e tutto questo ha un peso su ciò che sta accadendo. Ma quando potrò parlare si capirà tutto».